130° anniversario della nascita e 70° anniversario della canonizzazione di S.Maria Goretti (Santuario di Nettuno 16 ottobre 2020)

«E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (Gv 12,23). Il contesto in cui Gesù fa questa dichiarazione – la sera precedente la sua drammatica e scandalosa morte – ci stupisce: Gesù parla di una sua “glorificazione”, proprio mentre sta per essere ucciso! Si può considerare una morte come quella che Gesù ha vissuto come gesto che rivela, manifesta chi è veramente  quel “figlio dell’uomo” che si considera Gesù? La risposta all’interrogativo la dà Gesù stesso nelle parole che seguono: «In verità, in verità io vi dico (Gesù fa ricorso a questa espressione per avvertirci che quanto dirà rappresenta una parola di rivelazione): se il chicco di grano, caduto in terra, non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto» (Gv 12,24). Gesù si presenta come il “chicco di grano” che accetta di morire.

La morte di Gesù non è un incidente di percorso (purtroppo a Gesù è capitato di morire in quel modo), né semplicemente una condanna a morte (Gesù è stato costretto da altri a morire), ma la “conclusione” di un’esistenza vissuta con fiducia nel Padre del cielo e nello spendersi per gli altri. Quella morte a cui è costretto, Gesù la vive come affidamento fiducioso di sé al Padre (“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, Lc 23,46), come gesto d’amore per i suoi amici («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici», Gv 15,13) e offerta di sé per “il perdono dei peccati” («Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati», Mt 26,28).

Proprio perché Gesù muore “in quel modo”, non resta solo (l’apostolo Paolo parla di lui come il “primogenito tra molti fratelli”, Rm 8,29), prigioniero per sempre della morte (Gesù «non fu abbandonato negli inferi, né la su carna subì La corruzione», proclama l’apostolo Pietro nel suo primo discorso dopo la discesa dello Spirito Santo», At 2,31), ma “produce molto frutto” (ancora l’apostolo Paolo a proposito dell’opera giusta compiuta da Gesù: «si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita», Rm 5,18).

Gesù propone poi il percorso del chicco di grano a tutti coloro che hanno a cuore la propria vita, che desiderano non perderla realmente («Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna», Gv 12,25). Gesù ci dice che se vogliamo veramente conservare la vita dobbiamo fare come il chicco di grano che si è consegnato alla terra, fare come lui: consegnare la nostra vita a chi è in grado di farla rifiorire sempre di nuovo, a chi non delude il nostro desiderio di vita.

  1. Maria Goretti ha fatto come Gesù, non solo perché, nella sua morte, lo ha imitato nell’offrire il perdono a chi gli toglieva la vita («Non solo lo perdono, ma lo voglio con me in paradiso!»), ma anche perché, come Gesù si è fidata nella sua breve esistenza, h confidato in Dio Padre (mentre il papà sta morendo, Maria rassicura la mamma: «Mamma, non ti preoccupare: tu con i miei fratelli attenderai al lavoro dei campi e io al lavoro in casa: Dio non ci abbandonerà!»). Marietta ha seguito Gesù perché ha desiderato stare con lui. Un desiderio attestato dalle domande che rivolge alla mamma («Mamma, quando farò la prima comunione?»), a una signora vicina di casa, il giorno della prima comunione, appena uscita di chiesa («Teresa, quando ci torniamo?») e, alla vigilia della morte, da una esclamazione («Non vedo l’ora di fare la comunione!»).

La morte di Marietta, come quella del chicco di grano, come quella di Gesù, ha prodotto nel tempo molti frutti. Ne ricordiamo solo uno, probabilmente il più sorprendente: la redenzione del suo uccisore Alessandro. Lui stesso lo riconosce, nel racconto di un sogno, in carcere, dove a lui, “la cui mente era turbata da idee sempre più violente di disperazione” (sono parole sue), Maria, appare bellissima, bianco vestita, mentre raccoglie dei gigli e quando glie li offre, “gli sorride come un angelo”. Quel sogno è per Alessandro l’inizio di un lungo cammino di redenzione, che culminerà la notte di Natale (1934), quando Alessandro chiederà perdono alla mamma di Marietta («Assunta, mi perdonate?») e mamma Assunta: «Se vi ha perdonato lei, vi ha perdonato Dio, vi perdono anch’io».

Cosa possiamo imparare da S. Maria Goretti?

Da questa ragazzina che onoriamo come santa impariamo il rifiuto del compromesso con il male, la libertà dalla paura, che spesso ci assale, di perdere la vita con i suoi tanti beni (la serenità, la sicurezza, la salute…), una paura che non è provocata solo dal pensiero della morte, ma anche da quello che sta succedendo di questi tempi attorno a noi. Una paura che ci aggredisce non solo personalmente, rendendo sempre più difficili le relazioni, fino a comprometterle, ma che intacca anche il tessuto sociale, suggerendo una difesa che assume sempre più l’aspetto di una chiusura, fatta di tanta intolleranza che innalza i muri, illudendoci di conservare una buona qualità alla nostra esistenza. Impariamo da lei, perché, come i tanti martiri di sempre, anche quelli di cui parlano sempre più frequentemente le cronache dei nostri giorni, ha dato credito a Gesù, ha detto con decisione di no al male, ha accolto la sua proposta; per questo non si è lasciata sopraffare dalla paura di perdere la vita, non ha consentito a questa paura di insediarsi nel suo cuore e governare la sua giovane esistenza.

Guardando a S. Maria Goretti, forti del suo sostegno, del suo patrocinio, chiediamo al Signore Gesù che ci liberi da questo male dello spirito, un male che, osservando quanto sta succedendo, non solo non mette la nostra esistenza personale al riparo, né garantisce maggiore sicurezza alla nostra vita sociale, ma sembra mortificarle e renderle ancora più tristi e incerte.

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