V domenica di Quaresima (3 aprile 2022)

L’episodio raccontato dal vangelo della quinta domenica di Quaresima (Gv 8,3-11) corregge alcune nostre opinioni.

Una prima opinione, che condividiamo anche con tanta opinione pubblica il male che una persona commette decide in modo irrevocabile il suo destino, la condanna. Per tanti credenti è, o dovrebbe essere Dio stesso a eseguire la condanna.

Questa opinione propone l’immagine di un Dio che, al pari del giudice di un tribunale umano, dà a ciascuno quanto si merita.

Gesù, rifiutando di ratificare la condanna a morte della donna adultera, prescritta dalla Legge mosaica (“neanch’io ti condanno”), dice anzitutto come Dio, suo Padre, si pone di fronte a chi commette il male: non decide la condanna perché, come scrive il profeta Ezechiele, “non ha piacere della morte del malvagio, ma che desista dalla sua condotta e viva” (18,23).

Gesù ci dice che la risposta di Dio al male commesso dagli uomini, ai miei peccati,  non è la giustizia che condanna, ma la misericordia che perdona (scrive l’apostolo Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”, Rm 5,20).

Una seconda opinione da correggere, meno diffusa rispetto alla prima, è che il male, i peccati che commettiamo sono sostanzialmente “invincibili”. E’ la conclusione a cui siamo esposti quando nell’esame della nostra coscienza prima di una confessione registriamo, per l’ennesima volta, che i peccati commessi sono sempre gli stessi, nonostante la grazia dei sacramenti e il nostro impegno a non commetterli più. Questa opinione dichiara la nostra resa di fronte al male, la sfiducia nella possibilità di riscattarci da esso.

Gesù, segnalando alla donna adultera  la sua decisione di non condannarla rompe il cerchio di morte nel quale è prigioniera e con il successivo invito (“Va’ e d’ora in poi non peccare più”) le restituisce la possibilità di riprendersi la propria vita, di ricostruirla su basi nuove, di ricuperare la fedeltà alla relazione sponsale.

L’invito a “non peccare più” che Gesù rivolge a ciascuno di noi dice che il male che avvilisce la mia vita, che spesso deprime il mio desiderio e il mio impegno di bene, non è invincibile e che si può prendere le distanza da esso; dice inoltre che Dio suo Padre ha fiducia nell’uomo, nella sua libertà, che raggiunta, interpellata da lui, dal suo amore che perdona, sa risorgere e prendere le distanze dal male.

Anche a me il perdono di Dio apre sempre di nuovo il futuro di un’esistenza diversa, che non sta più sotto la minaccia della condanna, ma che è accompagnata dalla cura che Dio non smette di riservarmi e che rifà nuovo il mio cuore, non più prigioniero della sua miseria, ma capace di prendere le distanze dal male. Dio non mi esonera dall’esercizio della libertà con la minaccia di una condanna o con l’azione della sua grazia che non ha rivali, ma guarisce il mio cuore, rimette in movimento la mia libertà, perché sia capace di decidere di “non peccare più”.