Nei due testi della parola di Dio appena proclamati (Ap 14,13 e Lc 12,35-40), ricorre lo stesso aggettivo, “beati”. Nel linguaggio biblico l’espressione “beato” indica anche una persona fortunata (“fortunato tu che…” ed esprime pure un apprezzamento (“Mi congratulo con te”).
La voce dal cielo – lo stesso Spirito Santo – apprezza, si congratula con coloro che concludono la propria esistenza “nel Signore”, coloro che sono vissuti nella fedeltà al Signore fino alla morte. Non si sono lasciati ingannare dal mondo, hanno dato credito al Signore e hanno operato il bene (“le loro opere li seguono”). Il futuro che li attende è il riposo, non il riposo della morte, ma quello della vita risorta, come recita un prefazio festivo, dove si parla della famiglia dei figli di Dio, che “fa memoria del Signore risorto nell’attesa della domenica senza tramonto, quando l’umanità intera entrerà nel riposo di Dio. Allora noi vedremo il suo volto e loderemo senza fine la sua misericordia”.
Nel vangelo Gesù per ben due volte dichiara “beati” quei servi che attendono l’arrivo del loro padrone, che non lo fanno attendere perché assonnati, ma gli aprono subito la porta di casa. E il padrone, una volta accolto in casa, li sorprenderà, perché sarà lui, non più i servi a “stringere le vesti ai fianchi”, a farli accomodare a tavola (“li farà mettere a tavola”) e a servirli (“passerà a servirli”). Si invertiranno i ruoli, chi si faceva servire, si metterà al servizio e chi serviva sarà servito.
Nel racconto di Gesù i servi che lui apprezza siamo noi se lo attendiamo svegli (“con le lampade accese”) e operosi (“con le vesti strette ai fianchi”) e il padrone che giunge da noi senza preavviso è lui, ben felice di servirci,
Il messaggio di Gesù ci rincuora: noi dobbiamo attendere il Signore che viene non per servirlo quando siederà alla tavola che abbiamo preparato per lui, ma per lasciarci servire da lui, a quella mensa nella casa del Padre dove ci ha preparato un posto (“vado a preparavi un posto”, questa la sua promessa ai discepoli).
Gesù, il Figlio di Dio, che non è venuto tra noi per farsi servire, ma per servire, continuerà il suo servizio, non smetterà di servirci.
Don Marcellino è stato un operoso servo del Signore nei 62 anni di sacerdozio. Un ministero il suo che ha mostrato tratti inediti, dove ha tenuto insieme la forma del ministero sacerdotale e quella del lavoratore, prima, partecipando con l’ “Operazione Mato grosso” a un’esperienza umanitaria in Bolivia, poi come operaio del comune di Senigallia. Maturata la pensione ha proseguito il ministero come Cappellano delle parrocchie del Vallone, S. Angelo e Filetto, senza abbandonare del tutto il lavoro manuale, con la cura della terra. Un ministero che ha proseguito fino a quando la salute lo ha assistito.
Don Marcellino ha atteso il Signore stringendo ai fianchi le vesti del sacerdote e quelle del operaio lavoratore. Ora lo pensiamo seduto alla mensa dell’amore fedele di Dio Padre, servito dal Signore Gesù che lui ha servito nel suo ministero.
Don Marcellino ci hai consegnato la testimonianza di un ministero operoso. Accompagna la Chiesa di Senigallia perché attenda il Signore che viene con ai fianchi le vesti del servizio generoso, attento alle sofferenze delle persone più povere, di beni, di amore. Aiuta i sacerdoti di questa Chiesa a vivere il ministero “nel Signore”, come i servi operosi, pronti, di cui ha parlato bene Gesù, perché lo Spirito Santo e il Signore Gesù li possano considerare “beati”, “fortunati”.