La richiesta avanzata a “Dio, Padre buono” di “concedere” a noi di accogliere “il Verbo della vita che rivela la gratuità e la potenza del suo amore” dice che il dono di Dio – Gesù, suo Figlio – chiede di essere accolto, riconosciuto, non solo da Maria, nel grembo della quale “il Verbo della vita è stato rivestito di carne”, ma anche da noi, se vogliamo “generarlo nello spirito”, cioè consentirgli di rivelare agli uomini e alle donne di questo mondo la gratuità e la potenza dell’amore di Dio “Padre buono”.
E la preghiera riconosce anche quale disposizione da parte nostra consente l’accoglienza del dono di Dio: “l’ascolto della sua parola nell’obbedienza della fede”.
La vicenda del re Acaz, di cui ci parla la prima lettura (Is 7,10-14) e quella di Giuseppe raccontata dal vangelo (Mt 1,18-24), ci aiutano a comprendere come si esprime l’obbedienza della fede.
Il profeta Isaia racconta del rifiuto da parte del re Acaz dell’offerta di Dio, come segno della sua vicinanza in un momento drammatico per il Gerusalemme, assediata dai nemici che non le lasciano scampo. Il profeta, dopo aver smascherato la falsità della risposta del re all’offerta di Dio (“Non voglio tentare Dio”), annuncia che comunque Dio offrirà il segno della sua vicinanza al popolo in difficoltà (“La vergine concepirà e partorirà un figli, che chiamerà Emmanuele”).
Acaz rifiuta l’aiuto di Dio perché pensa di risolvere la situazione con l’alleanza militare che ha stipulato per sconfiggere l’esercito assediante
Anche Giuseppe, il fidanzato di Maria, si trova in un’analoga situazione: Maria, la sua promessa sposa, aspetta un bambino che non è suo. La Legge era molto severa in questi casi e prevedeva la denuncia pubblica con possibili drammatiche condanne (cfr Dt 20,20s). Giuseppe pensa a una soluzione che non esponga Maria al rigore della Legge (“non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto”), che però non avrebbe risparmiato lui dalle immancabili critiche e sospetti.
L’angelo del Signore gli propone un’altra soluzione, dopo averlo informato sulla provenienza del bambino che Maria porta in grembo (“viene dallo Spirito Santo”): gli chiede di non ripudiare la sua promessa sposa e di dare lui il nome a quel bambino che non aveva generato.
Giuseppe, a differenza di Acaz, accoglie la parola dell’angelo, si fida di queste parole. Ecco l’obbedienza della fede: dare credito Dio, lasciarsi consigliare da lui nella gestione della nostra vita, soprattutto di fronte a scelte impegnative, a situazioni intricate, confuse.
Come il re Acaz, anche noi siamo spesso tentati di cercare da soli le soluzioni a problemi, a difficoltà che la vita ci presenta, di decidere da soli quali scelte fare, quali comportamenti tenere nei confronti delle persone, soprattutto nei confronti di quelle che pongono problemi, ci chiedono di uscire da noi stessi, dall’esclusiva cura del nostro interesse personale.
I due fidanzati di Nazareth, Maria e Giuseppe, ci indicano un’altra strada: quella dell’ascolto pieno di fiducia di Dio che ci raggiunge con la sua parola e quella dell’obbedienza a questa parola.