II domenica di Pasqua (7 aprile 2024)

Da oltre 20 anni la 2 domenica di Pasqua è denominata “domenica della divina Misericordia”. L’iniziativa di dare questo titolo alla domenica è stata di S. Giovanni Paolo II per esaudire il desiderio di Gesù che santa Faustina Kowalska, una religiosa polacca, propagatrice della devozione a Gesù misericordioso, racconta nel suo Diario: «Desidero che la festa della Misericordia sia di riparo e di rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori… Nessuna anima abbia paura di accostarsi a me, anche se, i suoi peccati fossero come scarlatto».

Nella preghiera della Colletta ci siamo rivolti a “Dio di eterna misericordia”. Le parole dell’apostolo Paolo nella lettera ai cristiani di Efeso («Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo», Ef 2,4-5), chiariscono che la misericordia è l’amore di Dio che raggiunge gli uomini nella loro condizione di lontani dal Dio vivente (“morti”) e li “fa’ rivivere”, ritornare a una vita “riconciliata”. La specificazione di una misericordia “eterna” va ben oltre il riferimento a un’estensione nel tempo (“per sempre”), perché riguarda soprattutto la sua qualità di una ricchezza che lo scorrere del tempo, l’atteggiamento degli uomini, destinatari di questa misericordia, non solo non esauriscono, ma nemmeno riducono, affievoliscono, fino alla sua scomparsa.

Nella prima parte del vangelo di Giovanni, appena proclamato (Gv 20,19-23) le parole di Gesù risorto rivolte ai discepoli, dopo il saluto (“Pace a voi!”), illustrano come la misericordia di Dio agisce nella nostra vita («Gesù disse loro di nuovo: “ Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”».

Il gesto con il quale Gesù dona lo Spirito Santo (“Soffiò su di loro”) ci riporta al gesto stesso con il quale Dio, dopo aver “plasmato l’uomo con polvere del suolo l’uomo, soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7). Quanto Gesù risorto compie è un nuovo gesto creatore, che avvia, con il dono dello Spirito, la nuova e compita creazione, qualificata dal perdono dei peccati. La vita che riceviamo nello Spirito è la vita del Risorto, capace di vincere la morte e il peccato; è una vita riconciliata, perdonata. Il peccato, i nostri peccati, come ogni evento storico non è cancellabile, può essere solo perdonato. Cosa significa perdonare il peccato?

Come ogni atto della libertà, anche il gesto peccaminoso rappresenta sempre un decidere di se stessi, chi vogliamo essere. Il peccato, ogni peccato rappresenta una libertà che decide a prescindere, contro il suo Creatore, rappresenta una libertà incompiuta, fallita. Perdonare il peccato significa rigenerare la nostra libertà, riscattarla dal fallimento, restituire noi a noi stessi. Il perdono è un atto ri-creatore. Per questa ragione il potere di perdonare i peccati appartiene originariamente solo a Dio.

Nel racconto evangelico, il potere che appartiene a Dio solo e che Gesù ha ricevuto dal Padre, ora lo trasmette ai discepoli, inviandoli come lui è stato inviato dal Padre. Il “come” dice la partecipazione dei discepoli – della Chiesa – alla stessa missione di perdono svolta da Gesù. Una partecipazione non può essere rivendicata da parte dei discepoli, ma solo ricevuta dallo Spirito, donato da Gesù risorto.

Offrendo il perdono dei peccati, i discepoli di Gesù consentiranno a Dio, come ha fatto Gesù, di rendere operativa nella storia degli uomini, nella loro vita, la “sua eterna misericordia”.

Alla luce del mandato di Gesù comprendiamo la richiesta al “Dio ricco di misericordia”: “accresci in noi la grazia che ci hai donato”, perché siamo in grado di comprendere e apprezzare “l’inestimabile ricchezza” della sua misericordia.