Il lungo discorso di Gesù sul pane di vita giunge alle ultime battute. Gesù sembra non prendere in considerazione l’aspra discussione fra i Giudei che la sua affermazione ha innescato («Come può costui darci la sua carne da mangiare?») e prosegue nel suo discorso, dove troviamo citato per ben 7 volte il verbo “mangiare” (6 volte sulla bocca di Gesù e 1 sulla bocca dei Giudei).
Il “cibo” da mangiare è Gesù stesso, “il pane vivo disceso dal cielo”, “la sua carne e il suo sangue” (riferimento simbolico alla sua vita donata).
“Mangiare” rappresenta un gesto concreto, decisivo, assolutamente necessario per la nostra sopravvivenza.
Nelle parole di Gesù “mangiare il suo pane” è messo in riferimento al presente e al futuro.
Il riferimento al presente: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna… rimane in me e io in lui». Mangiare il pane donato da Gesù ci consente di ospitare Gesù, consente a noi, alla nostra vita di diventare abitazione di Gesù, consente a Gesù di permeare la nostra vita sulla sua (“vivrà per me”), di diventare l’Ospite che non si allontana mai da noi.
Cos’è questa “vita eterna” che possediamo già da ora, quando mangiamo il pane offerto da Gesù?
La risposta è data dallo stesso Gesù: «Come io vivo per il Padre, così colui che mangia me vivrà per me». Gesù vive “per” il Padre, cioè grazie al Padre, dal quale riconosce di avere ricevuto tutto (“mi hai preparato un corpo”); vive condividendo il desiderio che il Padre porta nel cuore nei confronti di tutti gli uomini: averli con sé come figli, poter prendersi cura di loro come figli amati. Il riferimento al Padre riempie la vita di Gesù, spiega la sua libertà, la grandezza del suo cuore aperto a tutti, la sua mitezza, la sua passione per la verità e la sua intransigenza nei confronti di ogni menzogna e doppiezza, il coraggio di fronte a una morte drammatica, la sua disponibilità a offrire la vita.
Questa è la “vita” che ci viene offerta, che ci è resa possibile quando “mangiamo” con fede il “pane vivo disceso dal cielo”, Gesù. Si tratta di una vita “eterna”, perché nessuno ce la può rubare.
Il riferimento al futuro: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue… lo risusciterò nell’ultimo giorno». Il futuro che Gesù dischiude a chi “mangia” il suo pane, a chi “mangia” Lui, è quello della risurrezione, della sua risurrezione. La risurrezione di Gesù non è la semplice rianimazione di un cadavere né la sola immortalità, ma l’ingresso in una vita, quella di Dio Padre, ospitale, perché libera della libertà di un amore più forte di ogni paura e di ogni chiusura, un amore che esce vincitore nel confronto con la morte che minaccia la vita dei figli di Dio, che riempi di sé l’esistenza.
La risurrezione che Gesù ci offre non è semplicemente un’esistenza interminabile, dai contenuti indefiniti, ma la vita stessa di Dio, quella che Lui possiede da sempre è che, quale “primogenito tra molti fratelli”, non vuole tenere solo per sé, ma condividerla con noi.
Gesù offre a noi il suo pane vivo, si offre a noi come pane che dà la vita, in ogni Eucaristia. Se “mangiare” questo pane ci porta tutto questo ben di Dio, perché non accogliere senza riserve l’invito che la sapienza (uno dei tanti nomi di Dio) ci rivolge nella prima lettura (Prv 9,1-6) : «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete. Andate dritti per la via dell’intelligenza» e perché non prestare volentieri ascolto alle parole di Paolo nella seconda lettura (Ef 5,15-20): «Non siate persone sconsiderate, ma sappiate comprendere qual è la volontà (il desiderio) del Signore.
Accogliamole tutti queste parole, quelli che hanno consuetudine con questo pane e anche quelli che stanno digiunando da tanto tempo nei confronti di questo pane.