Per essere precisi, più che di “esaltazione della santa Croce” dovremmo parlare di “esaltazione” di Colui che sta sulla croce, Gesù. La croce senza Gesù resta un oggetto, un pezzo di legno; tutt’al più diventa, come si nota sempre di più, un ornamento del nostro corpo.
I vangeli raccontano che Gesù è stato messo in croce (“fu crocifisso”), è stato costretto a salire sulla croce, la pena destinata dagli occupanti romani agli schiavi, ai sovversivi e ai delinquenti. Gesù non è né il primo né l’ultimo nella storia umana a essere messo in croce. Quanti crocifissi conosce la storia degli uomini!
Perché noi prestiamo una particolare attenzione alla croce su cui è stato messo Gesù? Perché, “esaltiamo” apprezziamo un Crocifisso che di apprezzabile non presenta proprio nulla, come rileva il profeta Isaia in uno dei suoi testi “anticipatori” di Gesù, della sua morte (cfr Is 52,13-53,12)?
Il vangelo di Giovanni (3,13-17), appena proclamato, ci rivela che Gesù crocifisso che noi “esaltiamo” è il Figlio unigenito che Dio Padre ha mandato in un mondo che ha preso le distanze da Lui, che resta chiuso al suo amore, non per “condannarlo”, ma per “salvarlo, per restituirgli la libertà e la bellezza originarie. Giovanni ci dice che Dio fa questo perché continua ad amare questo mondo (“ha tanto amato il mondo”), perché le persone, tutte, di questo mondo gli sono care, gli stanno a cuore.
L’apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi (2,6-11) ci rivela che Gesù Cristo, il Crocifisso, non ha ritenuto privilegio esclusivo “l’essere come Dio”, perché ha assecondato il desiderio di Dio di riprendere contatto con gli uomini di questo mondo; per questo ha intrapreso un percorso che lo ha condotto fino all’abisso della morte di croce (“svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, divenendo simile agli uomini… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”).
Quanto la parola di Dio ci dice riguardo a quell’uomo “messo in croce”, non solo ci rivela la misura dell’amore di Dio per noi, per l’intera umanità, ma anche che quella morte, inflitta a Gesù da chi lo voleva sopprimere e vissuta da lui come gesto d’amore, libera la nostra esistenza, la storia degli uomini, dalla presa del male che la priva della vera libertà e della speranza affidabile. Per questo giustifica il nostro riconoscimento, il nostro apprezzamento, che non può esaurirsi in una celebrazione, ma chiede di proseguire nel fare spazio nella nostra esistenza a Dio, a Gesù. il Figlio unigenito, consentendo loro di continuare a prendersi cura di noi, di liberarci dal male che avvilisce la nostra esistenza e spegne le nostre speranze; ci sollecita a costruire la nostra esistenza, a fondare la nostra libertà sulla roccia del loro amore, l’unico tesoro che non ci può essere sottratto da nessuno, nemmeno dalla morte.