Omelia nel X Anniversario di Episcopato (Cattedrale di Senigallia, 15 Aprile 2007)

Senigallia, 15 aprile 2007

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, gentili Autorità, cari fedeli.
Il sentimento più vivo che provo questa sera, in questa Cattedrale-Basilica e in mezzo a voi, è quello della gratitudine. Gratitudine anzitutto verso il Signore che mi ha donato la vita e ha voluto fare di me un cristiano, un sacerdote, un Vescovo. Vorrei dire con San Paolo: “Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero” (1 Tm 1,12). Nel ringraziarlo per il dono dello Spirito Santo che dieci anni fa mi ha costituito successore degli apostoli, pastore di questa Chiesa di Senigallia, sento peraltro il bisogno di riconoscere la mia inadeguatezza e chiedere perdono per il bene che non ho compiuto e le mancanze che ho commesso.
Speciale gratitudine, unita al ricordo che non si cancella, va ai miei genitori, familiari e amici della città e della diocesi da cui provengo, dove sono stato generato alla fede e dove ho svolto il mio servizio sacerdotale.
Gratitudine profonda sento in me per questa Diocesi di Senigallia: posso dire che più l’ho conosciuta più le ho voluto bene. Sono contento di essere Vescovo per voi e con voi. Quando venni tra voi, dieci anni fa, venni con tanta speranza, ma anche con grande timore e trepidazione; conoscevo i miei limiti, sapevo anche la grandezza del compito del Vescovo. Rendo testimonianza che mi avete accolto bene, mi avete aiutato con la vostra affabilità, bontà, pazienza.
Gratitudine debbo al carissimo e venerato Vescovo mio predecessore, Mons.Odo Fusi Pecci: a me è stato dato di raccogliere i frutti della sua abbondante seminagione; lo ringrazio dei suoi consigli, della sua disponibilità e vicinanza.
Sono grato, molto grato, ai sacerdoti, miei più stretti collaboratori: senza di loro non avrei potuto e non potrei fare nulla. Il Vescovo e i sacerdoti sono chiamati ad essere una cosa sola nell’amore reciproco e nella condivisione della responsabilità pastorale; a tutti i presbiteri della Diocesi sono riconoscente per lo zelo, la collaborazione e la testimonianza che mi offrono.
Naturalmente insieme ai sacerdoti dico la mia riconoscenza ai religiosi e alle religiose: la Chiesa non può fare a meno della loro testimonianza; viva riconoscenza va anche ai numerosi catechisti, ai ministri ausiliari della comunione, ai cantori, ai volontari e operatori della carità, a tutti coloro – sono tanti ed è questo uno spettacolo confortante – che in diversi modi vivono la passione per la Chiesa, l’amano e la servono come si serve il corpo del Signore.
Gratitudine esprimo inoltre verso le autorità civili con le quali condivido, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, la sollecitudine per il bene comune: ringrazio cordialmente i Sindaci qui convenuti, a cominciare dal Sindaco capo-fila di Senigallia, che con la loro presenza testimoniano la volontà e il bisogno di collaborazione, di unire la forze per costruire tutti insieme la città dell’uomo, perché sia una città vivibile, coesa e solidale.

Essere Vescovo è bello. Bello, non a motivo dei titoli e degli onori che gli vengono tributati… né per il presunto potere che egli può esercitare. E’ bello perché il Vescovo è uno strumento della grazia divina, è chiamato ad esprimere e custodire il legame vitale che unisce la comunità cristiana, la Chiesa locale, al suo Signore. Per chi ama il Signore non ci può essere un compito più bello di quello di prodigarsi per costruire la comunità, tenerla unita, nutrirla con tutti i mezzi spirituali necessari alla sua vita e alla sua diffusione.
In quanto successore degli apostoli e io stesso apostolo mi è chiesto di fare quelle stesse cose che faceva Gesù. Abbiamo sentito nel Vangelo di Giovanni, proclamato in questa domenica, che il Signore risorto ha affidato agli apostoli questo compito: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). La missione del Vescovo è quella di continuare la missione di Gesù. Si tratta di ripetere quello che ha fatto Lui, il Signore e Maestro:
annunciare il Vangelo del Regno, il Vangelo che libera e salva, accende una speranza che non delude ma dà un senso compiuto alla vita, il Vangelo che immette nel mondo una forza prorompente di amore che viene da Dio stesso;
procurare i mezzi, in primo luogo l’eucaristia e poi gli altri sacramenti, che permettono di incontrare il Signore e ricevere da lui la forza del suo amore, il cibo che dà vita, nutre, sostiene e crea la comunità;
rendere visibile l’amore di Dio attraverso la testimonianza della carità, con una particolare sollecitudine verso i poveri e i bisognosi.
E’ così, attraverso l’annuncio del Vangelo, la celebrazione dei sacramenti e la testimonianza della carità che il Vescovo, insieme ai suoi collaboratori, forma e fa crescere la Chiesa, corpo e sposa di Cristo.

Ma essere Vescovo è un impegno molto difficile, che anzi è al di là delle forze umane. Chi è chiamato all’episcopato sente tutto il peso della responsabilità che è posta sulle sue spalle: è come un padre di una grande famiglia e deve rendere conto a Dio di ogni singola persona che è affidata alle sue cure. La grazia dello Spirito Santo, peraltro, non annulla la natura umana, che rimane così come è, con tutti i suoi pregi e i suoi limiti. Pur chiamato a un compito altissimo, il Vescovo rimane una persona umana, portandosi dietro tutta la debolezza e fragilità della propria natura. Perciò prova una profonda insufficienza, una sproporzione tra ciò che umanamente è e ciò che è chiamato ad essere: padre, testimone e maestro della fede, modello del gregge. Il Vescovo ogni giorno deve fare umilmente un atto di fiducia, come Maria, riconoscendo che solo con la grazia del Signore è in grado di compiere la sua missione.

Il dono che oso chiedere al Signore in questo anniversario della mia ordinazione episcopale e del mio servizio in questa amata Chiesa di Senigallia è quello di una fede più forte e più profonda e di un cuore più generoso. Aiutatemi anche voi, cari fratelli, con la vostra preghiera per chiedere al Signore di essere meno indegno della vocazione a cui sono stato chiamato; pregate insieme con me perché possa amare e servire questa Chiesa senza riserve come autentico e coraggioso testimone del Signore risorto. Uniamo le nostre preghiere perché in questa nostra Chiesa di Senigallia possa crescere la comunione, la collaborazione e la corresponsabilità; preghiamo perché in essa – animata dalla fede, dalla speranza e dalla carità – possa sempre più e meglio risplendere il volto del suo Signore e Maestro.
E il Signore conceda a tutti – a me, a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, alle vostre comunità, alle istituzioni cittadine – quella pace con la quale, come abbiamo ascoltato nel Vangelo di questa sera, Gesù stesso ha salutato i suoi all’alba della risurrezione, la pace che Egli solo può dare.