Omelia nella solennità dell’Assunta e Benedizione del Mare (Senigallia, 14 agosto 2009)

Senigallia, 14 agosto 2009

1. Torna ogni anno, nel cuore dell’estate, la solennità dell’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria. In questa occasione celebriamo anche la festa e la benedizione del mare, una cara tradizione della città di Senigallia.
Saluto tutti voi, fratelli e sorelle nel Signore, ed in particolare porgo il mio cordiale saluto alle autorità cittadine qui presenti a cominciare dal Signor Sindaco e dal comandante del Porto che ringrazio per la sua premurosa ed efficiente ospitalità. Oltre i residenti saluto anche i cari villeggianti e turisti che amano frequentare la nostra città e possono godere del nostro bellissimo mare.

2. Il mare si presenta a noi in tutta la sua bellezza e il suo fascino. Con la sua estensione che si apre all’infinito dell’orizzonte richiama il senso del mistero: fa pensare al Creatore che nella sua bontà ha fatto esistere ogni cosa per il bene dell’uomo. L’acqua è sorgente di vita. Dal mare l’uomo trae alimento per la sua esistenza. Il mare è luogo di riposo, di vacanza e di ricupero di energie fisiche e spirituali per poter riprendere le proprie attività nel resto dell’anno.
Il mare richiama la fatica dei pescatori e il lavoro di quanti svolgono la loro attività in campo turistico per dare sostentamento alla propria famiglia e contribuire alla crescita economica del territorio.
Il mare richiama anche il luogo dove non poche persone hanno perso la vita: pescatori, marinai, turisti. Questa sera vogliamo pregare per loro, ricordando in particolare, tra le vittime del mare, i migranti. Sono persone umane – non oggetti o animali – che su imbarcazioni a volte fatiscenti hanno preso la via del mare per sfuggire alla povertà, alla miseria o alla persecuzione, ma per le difficoltà della navigazione, per il mancato soccorso, o per il deliberato respingimento dei paesi dove volevano approdare, alla fine hanno dovuto soccombere, sono scomparsi in mare.
In questa occasione ci è di monito quanto papa Benedetto XVI scrive nella sua ultima enciclica “Caritas in veritate”: “Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali e inalienabili che vanno rispettati da tutti in ogni occasione” (62). Forse è la paura, in qualche circostanza purtroppo non priva di ragione, che spinge a prendere di fronte al fenomeno della migrazione un atteggiamento di diffidenza, di chiusura, di rifiuto, ostacolando la considerazione della dignità umana di cui ogni persona è portatrice. Eppure non è vero che straniero è sinonimo di pericolo o di delinquente. Certo va salvaguardato il diritto alla sicurezza come pure il dovere della legalità, ma allo stesso tempo non si può non rispettare la dignità delle persone, di tutte le persone. Per questo alcune parti dei recenti provvedimenti legislativi sulla sicurezza suscitano nella nostra coscienza di cristiani interrogativi e preoccupazioni.
Parliamo del mare: il mare è anche un chiaro simbolo della nostra vita. Richiama il fatto che la vita di ciascuno di noi è come un navigare in mezzo ai tanti flutti, talvolta calmi e sereni, a volte burrascosi e tremendi. Nella navigazione della vita vorremmo avere sempre davanti a noi una luce, che ci indichi la direzione da seguire, l’orientamento da prendere, la rotta da percorrere.

3. Questa luce esiste. E’ una stella, la “stella del mare”: si chiama Maria, la Vergine Santa. Lei stessa ha navigato nel mare della vita, raggiungendo la meta, il porto sicuro. Al termine della sua navigazione è stata assunta, cioè portata in cielo e introdotta nella gloria eterna con la sua anima e con il suo corpo. Ha raggiunto il paradiso, ha realizzato pienamente se stessa, è entrata nella felicità piena che durerà per sempre.
Quale è la strada che lei ci indica, avendola essa stessa percorsa, perché anche noi possiamo raggiungere la meta? E’ la strada della fede e quella dell’amore.
Maria ha creduto, ha creduto sempre. Ha creduto al momento dell’annunciazione, quando l’angelo le portava la notizia che sarebbe diventata la madre del Salvatore. Ha creduto trentatre anni dopo quando venne a trovarsi ai piedi della croce del Figlio. Ha creduto, ha avuto fiducia nel Signore anche quando, umanamente parlando, non riusciva a comprendere i suoi disegni. “Beata te che hai creduto”: così la saluta la cugina Elisabetta quando la incontra nella sua casa (cf Lc 1,45). Maria è beata, è entrata nella gloria del cielo, perché ha creduto.
L’altra strada che Maria ha percorso e che indica anche a noi è quella dell’amore. Maria ha sempre amato. Ha passato la vita ad amare: amare il suo figlio Gesù, amare tutti gli amici e discepoli del suo figlio Gesù e l’umanità in Gesù. Ha amato, perché si è sentita amata, ed infatti lo era, perché il Signore stesso l’aveva ricolmata di grazia (cf. Lc 1,28) e la grazia non è altro che l’amore gratuito di Dio. E anche questo è un messaggio per noi: ciò che conta nella vita è amare ed essere amati; siamo chiamati ad amare perché anzitutto gratuitamente e sovrabbondantemente siamo amati da Dio.

Che Maria Ss. dal cielo, dove è stata assunta, interceda per noi tutti. In questa città e diocesi la veneriamo come “Madonna della speranza”, nostra patrona: è qui tra noi la sua dolce immagine. Ci aiuti tutti a credere e ad amare perché la nostra speranza di una vita futura, piena e beata, non vanga mai meno, ma si realizzi secondo la promessa di Dio.

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