Consacrazione nell’Ordo Virginum di Giulia Colosio (16 aprile 2016)

“Tu mi appartieni”. Un’affermazione simile tra di noi scatena una reazione di protesta, di opposizione, in nome di una libertà che non ci può essere tolta, impedita. Una reazione alimentata anche dal clima culturale che presta un’esclusiva attenzione all’affermazione delle libertà individuali. E anche se è il Signore a pronunciarla, non siamo del tutto tranquilli, perché anche noi temiamo di perdere la nostra libertà.

Se però torniamo al testo di Isaia troviamo una sorpresa. Dopo aver ricordato a Israele “tu mi appartieni”, il Signore non elenca gli impegni che il popolo di sua proprietà dovrebbe onorare, ma dichiara la propria disponibilità ad agire a favore del popolo, a non lasciarlo solo nelle difficoltà (più volte ripete “io sono con te”), adducendo come ragione “tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo”. Al Signore Israele sta a cuore, lo apprezza come realtà preziosa e degna di stima, se lo prende in carico come ci si fa carico delle persone che si amano. Per questo non c’è ragione di temere (lo ripete più volte), né per le prove della vita né riguardo alle reali intenzioni del Signore nei confronti del suo popolo.

Queste parole impediscono d’interpretare l’affermazione precedente (“tu mi appartieni”) come un colpo di mano contro la nostra libertà e, dovrebbero, disinnescare ogni timore e sciogliere ogni riserva.

Dello stesso tenore sono le parole di Gesù nel vangelo di Giovanni, dove si presenta come un pastore che “conosce” bene le sue pecore, ma soprattutto che è deciso a non perderne alcuna né a lasciarsele portare via (“nessuno le strapperà dalla mia mano”). Gesù non solo difende le sue pecore, ma è intenzionato a “dare loro la vita eterna”, la vita piena, la sua stessa vita di Figlio amato dal Padre. Gesù onorerà questo impegno fino al dono totale, pieno, di sé sulla croce.

A motivo di queste parole rassicuranti le pecore “ascoltano la voice” di questo pastore generoso e lo seguono, si lasciano condurre da lui, piene di fiducia nei suoi confronti, senza alcun timore di essere abbandonate.

Tra poco Giulia, rispondendo alle domande del Vescovo, comunicherà la sua decisione, il suo desiderio di “seguire Cristo come propone il Vangelo”. Una sequela che le è stata proposta dal Signore e che Giulia ha colto come espressione di un amore personale nei suoi confronti (“tu sei preziosa ai miei occhi e io ti amo”) e che lei desidera vivere con un amore totale e per sempre, come accade tra due sposi. Questo legame sponsale tra Giulia e Gesù, certificato dalla consegna dell’anello nuziale, dice che Giulia non ha paura “di appartenere” al Signore e spiega la sua decisione di consacrarsi a Lui, cioè  di vivere una relazione con il Signore, “unica” ed “esclusiva”, una relazione che abiti la sua vita per sempre e in ogni situazione. Unica ed esclusiva non perché “assorbe” le tante relazioni della vita, le svuota di significato e di rilevanza, ma perché rappresenta la prospettiva unificante di tutto, quella relazione che emerge tra le altre, attorno alla quale le altre si dispongono e dalla quale si lasciano il­luminare.

Con questo gesto Giulia ci ripete quanto il salmista riconosce a proposito dell’amore del Signore: “il tuo amore vale più della vita” (Sal 63,4). L’amore offerto da Dio vale più della vita, non perché l’esistenza dell’uomo vale poco, è realtà scadente, ma perché conferisce ad essa tutto il suo valore, rappresenta la ragione per cui essa è “cosa molto buona”. Una relazione così dà ragione e valore alla verginità, che esprime un rapporto di reciprocità sponsale: si appartiene al Signore a tal punto da non concedere ad altri un amore sponsale («In fondo non ho che Te e sono contento di averti così, come “non avendo” nient’altro che Te»). Tutto questo cam­minando, forte della sua promessa (“io sono con te”) e con la fede del nostro padre Abramo (“il Signore provvederà”).

Di questa consegna di Giulia ne beneficerà la nostra Chiesa di Senigallia, perché Giulia si mette a servizio di questa Chiesa, condividendo l’amore che Gesù, suo sposo, ha per noi. Di tutto questo siamo grati al Signore e a Giulia e la nostra gratitudine si esprime nella preghiera perché il Signore porti ha compimento l’opera buona che ha iniziato in lei.

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