Terza domenica di Avvento (11 dicembre 2016)

La fede di Giovanni messa alla prova: «Sei tu quello che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?».

Giovanni, come il popolo d’Israele, sa chi è colui che deve venire. Conosce il suo nome: il Messia, il figlio di Davide, il re giusto che deve portare la signoria di Dio nella storia degli uomini, l’agnello innocente che deve togliere il peccato del mondo.

L’attesa di Giovanni è orientata dalle promesse antiche, promesse che parlano di colui che deve venire solo, però, per immagini. Giovanni si chiede se l’attesa è finalmente compiuta. Un tempo gli era sembrato che fosse proprio così, tanto che nel deserto aveva indicato a tutti Gesù: «Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29.36). Ora però si trova in carcere, confinato in una solitudine e di fronte alla drammatica prospettiva della morte che mette alla prova ogni speranza, vagliandone la consistenza.

«Sei tu quello che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?»: “davvero sei tu quello che io ho atteso, quello che ho cercato, del quale ho parlato agli altri, che ho indicato loro, per il quale ho giocato la mia esistenza? Oppure devo riconoscere di essermi sbagliato e devo ritornare ad attendere un altro, ora che la mia vita sta per essermi tolta?».

La prova di Giovanni «è la prova del dubbio a proposito del proprio cammino, della propria speranza, del proprio amore» (G. Angelini). E se Giovanni dovesse riconoscere che il Messia è un altro, il suo cammino, con tutto quello che ha richiesto di solitudine, di deserto, di povertà e di rischio, gli apparirebbe come un enorme errore.

La risposta di Gesù: «Beato colui che non si scandalizza di me». Gesù non si stupisce della domanda di Giovanni, non lo rimprovera come uomo di poca fede, anzi ne parla bene («Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista»). Sembra che Gesù consideri “normale” la domanda di Giovanni nel suo cammino di fede; sembra riconoscere che la prova della fede è ineliminabile nella vita di coloro che, invece di limitarsi a ricevere senza impegno ciò che la vita offre giorno dopo giorno, s’impegnano a credere, a sperare e ad amare e per questo restano esposti alla prova, soffrono per la loro speranza.

La nostra fede messa alla prova

La prova di Giovanni diventa la nostra prova quando tentiamo con serietà di dare un volto, una risposta precisa alla nostra attesa, alla nostra speranza; quando cioè non rinunciamo, per paura di restare delusi e/o di essere messi alla prova, a credere, sperare ed amare.

E’ la prova di una fede che tenta d’investire l’intera esistenza sul Signore, che ogni giorno torna a decidersi seriamente per lui. Non è la prova di una fede superficiale, che non si lega veramente al Signore, non gli affida l’esistenza.

Quando ci accade di conoscere questa prova, di chiederci anche noi come Giovanni se è Gesù colui che dobbiamo attendere per dare forza alla nostra speranza e per non rassegnarci alla minaccia del male che incombe sulla nostra vita, non restiamo a ragionare sulla nostra domanda, né restiamo prigionieri del nostro dubbio, ma, come ha fatto Giovanni, poniamo la nostra domanda al Signore, il cui occhio sa vedere e apprezzare la nostra condizione più generosamente di quanto riesca a farlo il nostro cuore.

Affidiamoci alla sua parola, perché ci consente di vedere più di quanto i nostri occhi siano in grado di vedere e ci mette al riparo dalla tentazione di rimediare alla sofferenza della prova, all’incertezze dell’attesa, decidendoci, rassegnati, per una rinuncia, per lasciar perdere.

Giovanni ci invita ad andare da Gesù, a porre a lui le domande che ci turbano, ci inquietano, mettono alla prova la nostra fede, ad attendere da lui la risposta con fiducia e pazienza. Con quella pazienza di cui parla l’apostolo  Giacomo nella seconda lettura (“Siate costanti.., rinfrancate i vostri cuori…”), che ci consente continuare a operare nella vita, senza cedere alla sfiducia, alla disperazione, perché alimentata dalla fiducia in Dio, come recita una preghiera ebraica: «Io credo con fede piena e perfetta alla venuta del Messia e, benché tardi, io l’attendo ogni giorno».

Il tempo d’Avvento può diventare tempo propizio per la nostra ricerca del Signore, per recarci da lui e porgli quelle domande che mettono alla prova la nostra fede in lui.

 

 

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