Il testo appartiene al Discorso della Montagna (Mt 5-7), il primo dei 5 discorsi nei quali l’evangelista Matteo raccoglie l’insegnamento di Gesù. Le immagini usate da Gesù (il sale e la luce) fanno riferimento a realtà necessarie per la vita (non si può vivere senza luce, né senza sale) e il cui compito sta nel dare rilievo ad altre realtà (il sale ha valore non in se stesso, ma perché dà gusto e sapore al cibo, conserva; la luce serve per mostrare i contorni delle cose, per rendere visibili i volti delle persone, gli oggetti).
Gesù usa l’indicativo presente: “Voi siete…”. Non siamo di fronte a un’esortazione (“cercate di diventare sale e luce”) né a un imperativo (“vi impongo di diventare sale e luce”), nemmeno a una promessa futura (“diventerete sale e luce”), ma a un indicativo presente (“Voi siete già, ora¸sale e luce”).
I discepoli di Gesù, quindi anche noi, sono già sale e luce del mondo, per la relazione che li lega a Gesù. L’essere sale e luce è una condizione di partenza che ci è data. La relazione che ci fa essere di Gesù, suoi discepoli, fin dal Battesimo ci costituisce sale e luce del mondo. A noi è chiesto di vigilare per non perdere questo dono, per non diventare come il sale insipido e la luce nascosta. Noi restiamo sale che dà sapore, luce che illumina, nella misura in cui rimaniamo uniti al Signore.
Cosa comporta essere sale e luce del mondo? Comporta mostrare con la nostra vita la presenza del Signore nell’esistenza degli uomini e delle donne di questo tempo, come presenza amica, affidabile, una presenza liberante, che dà gusto, sapore, alla vita, che la illumina, la libera dall’ambiguità, le consente di realizzare quanto promette. Far emergere questa presenza perché gli uomini possano riconoscerla e apprezzarla, perché affidino al Signore la loro vita, si lascino istruire da Lui e guidare dalla sua parola.
Le opere buone di cui parla Gesù e che i discepoli sono invitati a compiere, non sono quelle che parlano di loro, ma quelle che parlano di Dio. I discepoli sono sale e luce del mondo, non quando operano per far parlare di sé, per mostrare il proprio buon cuore e la propria intraprendenza, ma per testimoniare il Dio, Padre di tutti, che si occupa di tutti i suoi figli, anche di quelli che danno vita a storie sbagliate, distanti da Lui.
Interroghiamoci sulla qualità della nostra relazione con il Signore, se è una relazione che ci trasforma progressivamente, che ci fa gustare la vita come la gusta Lui, incontrare le persone come le incontra Lui. Chiediamoci se il nostro modo di stare nel mondo, di operare a favore delle persone, d’incontrarle dà sapore, gusto alla loro vita, la illumina, perché le conferisce pace, l’apre alla speranza.
La Colletta, nella richiesta rivolta a Dio (“donaci il vero spirito del Vangelo, perché ardenti nella fede e instancabili nella carità diventiamo luce e sale della terra”) ci ricorda che le “opere buone” che inducono a dar lode a Dio, a ringraziarlo sono quelle che si lasciano ispirare da una fede vivace e da una carità che non mostra battute d’arresto.
E a proposito delle opere ispirate dalla carità i nostri Vescovi ci invitano nel loro messaggio per la 39a giornata per la vita, che celebriamo in questa domenica (“Donne e uomini per la vita. Nel solco di Santa Teresa di Calcutta”), a prenderci cura dei bambini e dei nonni, perché «I bambini “sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza”; i nonni “sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti” (Papa Francesco, Discorso alla festa delle famiglie, Filadelfia 26 settembre 2015). Per i Vescovi «Una tale cura esige lo sforzo di resistere alle sirene di un’economia irresponsabile, che genera guerra e morte. Educare alla vita significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale».