Nel brano della Lettera agli Ebrei proposto dalla liturgia del Venerdì Santo (Eb 4,14-16; 7,7-9) si parla di Gesù con la sua vicenda e di noi, beneficiari dell’azione di Gesù.
L’identità di Gesù e la sua vicenda.
Gesù è presentato come “sommo sacerdote” e “Figlio di Dio”. Questo “sommo sacerdote” presenta tratti singolari: è vicinissimo a Dio (“è passato attraverso i cieli”) ed è solidale con gli uomini, perché “è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato”, sa “compatire le nostre debolezze”, cioè prova compassione per quelli che si trovano nella prova, per il fatto che anche lui è “stato messo alla prova”. Con la propria obbedienza filiale Gesù diventa il “sommo sacerdote” a nostro favore (“causa di salvezza eterna”).
Noi, i beneficiari dell’azione di Gesù
La duplice esortazione che l’autore della lettera agli Ebrei rivolge a noi, discepoli di Gesù, ha a che fare con la fede: «Manteniamo ferma la professione della fede…Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia…».
Si tratta di mantenere salda la professione della fede, una fede che conduce a Dio stesso, per ricevere da Lui “grazia” e “misericordia”, cioè per beneficiare del suo amore di Padre.
Noi possiamo accostarci al “trono della grazia” perché qualcuno ci ha preceduto, ha aperto la strada. Questo qualcuno è lo stesso Figlio di Dio che ha deciso, in accordo con il Padre, di non restare da solo presso quel trono, di non essere unico beneficiario di quella “grazia” (l’amore del Padre) che rende bella l’esistenza e che era destinata, fin da “prima della creazione del mondo”, agli uomini e alle donne che sarebbero venuti al mondo, a noi dunque.
Questo Figlio ha scelto, sempre in accordo con il Padre, di riportare “in cielo”, presso il “trono della grazia”, i figli di Dio; per questo si è fatto solidale con loro, fino a “com-patire le loro debolezze” e ad “essere messo alla prova” come loro.
Nella liturgia del Venerdi santo il momento culminante è costituito dall’adorazione della croce. I discepoli di Gesù si accostano alla croce, si mettono in fila per adorare, non tanto un pezzo di legno (la croce), ma chi è salito sul quel pezzo di legno, il Figlio di Dio, per riportare gli altri figli di Dio, a casa, presso il “trono della grazia”, presso Dio, “nel seno del Padre”.
Tutti possiamo accostarsi al Figlio di Dio crocifisso, con le nostre debolezze, fragilità e con le prove che avviliscono la nostra esistenza; tutti possiamo andare da Lui che diventa per tutti il “trono della grazia”, per “ricevere la misericordia” di Dio che riscatta la nostra esistenza dal male del peccato che li ha allontanati dal “trono della grazia” di Dio Padre.
In questo giorno noi, i discepoli di Gesù, andiamo dal Figlio di Dio crocifisso, perché ci riporti a casa, perché noi, che siamo venuti in un mondo che porta i segni del peccato di Adamo (“l’immagine dell’uomo terreno”), possiamo abitare questo mondo, trascorrere la nostra esistenza “portando l’immagine dell’uomo celeste”, quella del Figlio che sta presso “il trono della grazia”.
E’ proprio quanto abbiamo chiesto a Dio all’inizio di questa celebrazione: “O Dio, che nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberati dalla morte, eredità dell’antico peccato trasmessa a tutto il genere umano, rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la nostra nascita, l’immagine dell’uomo terreno, così per l’azione del tuo Spirito, fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste”.