Fissiamo la nostra attenzione sulla locanda di Emmaus, dove si conclude il viaggio dei due discepoli e da dove i due riprendono il cammino di ritorno a Gerusalemme non programmato. Il viaggio da Gerusalemme a Emmaus di Cleopa e del suo amico, non è un semplice spostamento geografico, da un luogo all’altro, ma una fuga, l’abbandono del luogo dove si è consumata tragicamente la vicenda di Gesù e dove è andata delusa la loro speranza. La fuga avviene proprio nel giorno in cui alcune donne annunciano che Gesù è risorto (cfr Lc 24,1-10). Un annuncio accolto con scetticismo («Quelle parole parevano loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse», Lc 24,22), anche se li aveva sconvolti. E’ un viaggio però che cambia i discepoli: all’inizio l’evangelista Luca li segnala incapaci di riconoscere Gesù, che si era avvicinato, “col volto triste”, narratori della vicenda di Gesù, sa cui emerge la loro speranza delusa (“noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”) e una sconsolata conclusione (“ma lui non l’hanno visto”), alla fine del viaggio i loro occhi riconoscono Gesù risorto (“allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”), il loro non è più un cuore abbattuto, deluso (“non ardeva forse il nostro cuore…quando ci spiegava le Scritture?”) e prendono la decisione di ritornare a Gerusalemme (“Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”).
La locanda di Emmaus è il luogo dove questo cambiamento, iniziato lungo la strada ascoltando da parte di Gesù la “spiegazione in tutte le Scritture di quanto si riferiva a lui”, si compie (“allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”), grazie al gesto di Gesù, che riprende quello dell’ultima sera trascorsa con i suoi discepoli (“Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”). Questo gesto Gesù lo aveva affidato alla memoria dei suoi amici (“fate questo in memoria di me”). Ora si comprende il motivo di questo affidamento: i suoi amici lo avrebbero riconosciuto presente, in cammino con loro, vivente, grazie a quel gesto, ripetendo quel gesto.
Da quella sera i discepoli di Gesù si radunano nel primo giorno dopo il sabato, per incontrare il Signore risorto che cammina con loro. Questo incontro avviene qui in chiesa, la nostra “locanda” dove Gesù si ferma con noi e dove ascoltiamo le Scritture sante che parlano di lui e prendiamo il pane spezzato della sua vita data per noi.
Grazie a questo incontro il nostro cuore può tornare a gioire e possiamo riconosce il Signore all’opera nelle vicende di una storia – personale ed epocale – che spesso sembra consegnarcelo più nelle sembianze inquietanti di uno sconosciuto, estraneo a quanto sta capitando, che in quelle rassicuranti del Signore, interessato alle vicende dei suoi discepoli, guida sicura della storia degli uomini, schierato a difesa dei piccoli, dei poveri, contro i potenti e i malvagi.
E possiamo ritornare anche noi a Gerusalemme, nella città degli uomini e annunciarvi Gesù, il Risorto, speranza degli uomini e delle donne che la abitano.
Questa sera ci troviamo in un luogo che ci affascina per la bellezza dei suoi mosaici, dell’altare e dell’ambone. Ma anche questa bellezza risulterebbe fragile, non in grado di illuminare non solo i nostri occhi, ma anche di ridare slancio ai nostri cuori, se Gesù, qui ritratto come il pastore buono, non fosse risorto e se noi, celebrando l’Eucaristia, non gli consentissimo di riaprire i nostri occhi e di ridare al nostro cuore lo slancio della fede in lui.