Ingresso del nuovo Parroco don Emanuele Lauretani a Mondolfo e Ponterio (26 settembre 2017)

L’invito di Gesù rivolto ai discepoli a “non avere paura” apre e chiude il brano evangelico (Mt 10,28-33).  L’insistente invito di Gesù a non avere paura è motivato da quanto il Maestro aveva detto prima, inviando i discepoli nelle città e nei villaggi li aveva avvertiti riguardo ostilità che avrebbero incontrato, del violento rifiuto che avrebbero incontrato addirittura da parte dei familiari. Gesù ora rassicura i discepoli. Non devono temere chi può togliere loro il corpo fatto di carne, ma non può togliere loro ciò che conferisce valore e dignità grande all’esistenza vissuta nella carne: i sentimenti, la volontà, la libertà. Devono guardarsi piuttosto da chi può trascinare la loro persona verso la perdizione definitiva (cfr il riferimento alla Geenna, la discarica di Gerusalemme, dove il fuoco distruggeva tutto).

Inoltre non devono lasciarsi vincere dalla paura perché Dio Padre non li lascia soli. Qui Gesù fa ricorso a due immagini: quella di due passeri, dal modesto valore, eppure custoditi da Dio e quella dei capelli a cui Dio riserva attenzione (li conta). I discepoli quindi non devono temere quando, per la loro fede, sono perseguitati, rifiutati, perché sono in mani sicure, affidabili, quelle del Padre, quelle stesse mani alle quali Gesù stesso, nel momento in cui la persecuzione violenta scatenata contro di lui gli sta per togliere la vita (“Padre nelle tua mani consegno la mia vita”).

Alla luce di queste parole di Gesù comprendiamo il senso dell’affermazione di Giovanni nella seconda lettura: “questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5,4). La vittoria che la fede riporta sul mondo (nel vocabolario di Giovanni il  “mondo” sono le persone che rifiutano Dio, Gesù, le persone che, come denuncia il Siracide nella prima lettura, “confidano nelle proprie ricchezze e dicono con orgoglio: Basto a me stesso”) non è quella delle armi, della sopraffazione, della corruzione, della seduzione o dell’inganno, ma è quella di una libertà che non cede alle tante seduzioni, alle minacce che non risponde alla violenza con altra violenza, ma offrendo il perdono. E’ la vittoria di una libertà credente, che si fida di Dio, confida in Lui. Questa libertà credente ce l’ha mostrata anzitutto Gesù e poi i tanti martiri, santa Giustina compresa, che hanno accompagnato e accompagnano l’annuncio del vangelo nella storia degli uomini.

Questa sera don Emanuele inizia il suo ministero di parroco a Mondolfo e a Ponte Rio. In una comunità il pastore è il custode della fede della gente in Gesù Cristo, colui che si fa carico della fede della gente, di una fede che non cede alla paura di fronte a un mondo che la sfida, la mette in questione nella sua capacità di dire la verità piena sull’esistenza umana, di conferirle senso, di liberarla dal male che la ferisce sempre più profondamente; una fede che si fa carico della sofferenza delle persone, della loro fatica di vivere e che è pronta a “rendere ragione della speranza” che porta con sé, “con dolcezza e rispetto” (cfr 1Pt 3,15-16).

L’augurio, accompagnato dalla preghiera, a don Emanuele: che le persone di queste comunità scorgano nel tuo ministero la cura paterna di Dio, che grazie a te e al tuo ministero non abbiano  paura di aprire il loro cuore a Gesù, a non abbiano paura di praticare questa fede anche quando sarà messa alla prova da un mondo che rivendica con orgoglio di bastare a se stesso. E anche tu non avere paura quando nel tuo ministero incontrerai chiusure e resistenze.

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