Uno dei maggiori rischi che possiamo correre nei confronti del Natale è quello di non riconoscere appieno l’impatto che la nascita di Gesù ha avuto e continua ad avere sulla storia umana e sulla nostra esistenza. A favorire questo rischio concorre una certa retorica, che fa appello al “clima del Natale”, che riguarda anzitutto i sentimenti (“almeno a Natale cerchiamo di essere più buoni”, è l’invito che ci sentiamo rivolgere da più parti), fino a investire la pratica della fede (almeno a Natale andiamo a Messa e cerchiamo di accostarci al sacramento della Confessione, per poter ricevere la Comunione, se ci riserviamo un po’ di tempo in mezzo alla tante occupazioni per preparare la festa o se riusciamo a individuare ancora qualche peccato).
Questo tipo di retorica viene alimentata anche dalla figura di Gesù Bambino, che è venuto al mondo in un luogo dove nessuna donna, se non costretta dalla circostanze come Maria, partorirebbe i propri figli, collocata al centro di un presepio sempre molto affollato (di fronte ai bambini che di noi non si commuove e, ancora di più di fronte a un bambino nato in quelle condizioni?).
La colpa non è di Gesù Bambino.
Sappiamo che la retorica è come il fuoco di paglia: esuberante agli inizi, ma che si spegne in fretta; risulta inoltre anche pericoloso, perché può fare danni.
Concluso il giorno di Natale e i giorni immediatamente vicini, non sentiamo più l’invito a essere buoni e la gestione dei nostri sentimenti ritorna nel solco abituale, segnato spesso dall’indifferenza, dall’aggressività, dall’intolleranza e da tante chiusure. Per quanto riguarda la pratica della fede, dopo Natale, facilmente si riprende il ritmo abituale delle domeniche dove la partecipazione all’Eucaristia è spesso a rischio, per tante ragioni: i molti impegni, i maggiori interessi per altre cose, una certa indolenza e come succede, quando si dirada una pratica di vita, lo smarrimento dell’importanza della stessa Messa per la vita di un cristiano.
La preghiera che abbiamo rivolto a Dio, prima di ascoltare la sua parola ci consente di non concedere spazio a tale retorica, perché nella richiesta presentata – “fa che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana” – è indicato il “regalo” che ci è stato fatto da quel bambino, la cui nascita ci commuove. Il suo regalo non è una breve e superficiale emozione, ma la sua stessa vita, quella che Lui condivide con Dio Padre, una “vita divina”, appunto. A noi, creature segnate da tanti e vistosi limiti, che nonostante i molti tentativi non riusciamo a superare e che cerchiamo di nascondere ai nostri occhi, il Figlio di Dio offre di prendere parte alla vita che è in Lui (“ha dato potere di diventare figli di Dio”, scrive Giovanni nel prologo al suo Vangelo, appena proclamato), una vita che come spiega sempre l’evangelista Giovanni, “è la luce degli uomini”, una luce “che splende nelle tenebre” e tanto forte che “le tenebre non l’hanno vinta”.
Per comprendere la portata questo regalo che riceviamo basta percorrere le pagine del vangelo che parlano della vita di Gesù, il Figlio di Dio, che “si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.
Ma, come ogni regalo, anche quella della vita divina che Gesù ci offre va accolto e messo in condizione di portare buoni frutti nella nostra esistenza, quelli che osserviamo nella vita di Gesù. Per questo Giovanni, prima di informarci che il Verbo di Dio “ha dato potere di diventare figli di Dio”, avverte: “a quanti però lo hanno accolto”.
L’invito ad accogliere Gesù che ci è stato rivolto in Avvento, ripetuto nel giorno di Natale e nei giorni successivi, è motivato proprio da questo regalo che ci attende da parte del Figlio di Dio, non da altro. La nostra gioia dovrebbe essere giustificata soprattutto da questo regalo. L’invito a essere più buoni, a essere migliori, dovrebbe attingere e alimentarsi a questo regalo, non come un impegno temporaneo, ma come una pratica che si distende nel tempo e nei luoghi della vita quotidiana. La stessa pratica della fede, che ha in una fedele e buona partecipazione all’Eucaristia domenicale la fonte che la alimenta e uno dei gesti che ne verifica la serietà, dovrebbe lasciarsi motivare da questo regalo e dare a tutta la nostra esistenza la forma di un’esistenza credente.
La richiesta che abbiamo rivolto a Dio, ci suggerisce gli auguri di un Natale “buono”, perché non prigioniero di una retorica che distrae il nostro cuore e la nostra vita di fronte al regalo che questo Bambino ci rinnova anche quest’anno, la sua stessa vita, quella di un “figlio di Dio”.