Il sabato e la notte, con la sua oscurità, due tempi della nostra esistenza, carichi di significato. Il sabato è un giorno particolare nella settimana, un giorno di vigilia, nel quale attendiamo e ci prepariamo alla domenica. La dimensione di vigilia di questo giorno ci ricorda un aspetto della nostra esistenza: l’attesa. Noi viviamo attendendo: attendiamo la nascita di un figlio, di un nipote, la guarigione da una malattia, nostra o di una persona cara, la soluzione dei conflitti nelle relazioni, le attenzioni delle persone che amiamo, l’esito di un esame clinico…
L’attesa ci fa sperimentare la precarietà dell’esistenza umana, perché quello che attendiamo lo possiamo solo desiderare o temere, ma non anticipare o impedire.
La notte. Con la sua oscurità ci costringe a correre ai ripari: accendiamo luci, diventiamo più vigili, chiediamo maggiore compagnia quando ci troviamo in qualche difficoltà.
Ci siamo raccolti in questo sabato notte per celebrare la risurrezione di Gesù. La nostra, a differenza di tante celebrazioni cui partecipiamo nella vita, non è il ricordo di un avvenimento passato, che resta confinato nel luogo e nel tempo in cui è accaduto, ma memoria che ci consente d’incontrare Gesù risorto. Gesù risorto non è semplicemente un “redivivo” (come Lazzaro, la figlia di Giairo, il figlio di una vedova di Nain, i quali per un certo periodo della loro esistenza hanno vissuto da redivivi, ma poi la morte se li è ripresi), ma “vivente”, cioè presente tra noi, operante nella nostra vita e nella storia degli uomini, perché quella liberazione dal male che lui ha guadagnato per tutti con la sua morte, raggiunga anche noi e ci consenta di condurre un’esistenza bella, buona e serena.
In questa Veglia abbiamo compiuto gesti significativi. Abbiamo acceso un fuoco per illuminare il buio della notte, riconoscendolo come immagine della luce che ha portato e che è Gesù Cristo, abbiamo camminato per un breve tratto, nella nostra piazza più bella (luogo dove gente transita, si ferma, s’incontra e si parla), fino alla Cattedrale, seguendo questa luce. Abbiamo poi ascoltato a lungo la parola di Dio, una parola che secondo una felice espressione del salmista “è luce ai nostri passi”, che ha illuminato la vicenda di Abramo, del popolo d’Israele nelle sue situazioni serene e drammatiche, che ci ha rivelato cosa ha in animo Dio per noi (ricreare il nostro cuore, perché non sia più un cuore di pietra e operi come un cuore di carne), che cosa ha rappresentato per noi il battesimo, all’inizio della nostra esistenza e che grande regalo riceverà tra poco, con il battesimo, un nostro giovane amico, Josua: la vita nuova di figlio di quel Dio Padre che ama Gesù, il Figlio, anche lui amato come è amato Gesù.
Infine il racconto del Vangelo di Marco, dove il giovane vestito di bianco ha invitato anche noi, che, come le donne, andiamo da Gesù con i profumi del nostro amore, sincero, ma in difficoltà a rimuovere la pietra che sbarra il sepolcro di Gesù (la pietra delle nostre paure, delle nostre attese deluse, delle nostre chiusure…) a non cercare nel sepolcro, luogo di una morte irrecuperabile, colui che ne è uscito, non per un altro tratto di vita, per sempre.
Alla Luce che abbiamo seguito e alla Parola che abbiamo ascoltato, seguirà l’invito a mangiare quel pane spezzato per noi, che è il corpo donato di Gesù, la sua vita offerta per noi, per tutti gli uomini e le donne, perché anche noi possiamo vivere da risorti.
Il mio augurio a tutti di una “buona Pasqua”: che, celebrando l’Eucaristia di questa Pasqua e della Pasqua settimanale, quella della domenica, riusciamo vivere le tante attese della nostra vita, con fiducia e speranza, con quella speranza che ha il volto di Gesù e che, per questo, resiste alle sconfitte; l’augurio che le tenebre di una notte che ha tanti nomi, non c’impediscano di condurre la nostra esistenza nell’amore che ci fa tenere gli occhi e il cuore aperti alle sofferenze delle persone, che ridesta le nostre coscienze. Perché solo chi ama passa dalla morte alla vita. Proprio come è stato per Gesù.