Terzo anniversario dell’ordinazione episcopale del Vescovo Franco – 22 novembre 2018

I testi della parola di Dio appena proclamata parlano di due persone in pianto: Giovanni, che si trova, come scrive lui, “nell’isola di Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9), spettatore di una visione; Gesù, al termine del suo viaggio verso Gerusalemme (“quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città”, Lc 19,41).

Giovanni e Gesù piangono per ragioni diverse: Giovanni piange a dirotto (“piangevo molto”) perché “nessuno né in cielo, né in terra, né sottoterra, era in grado di aprire il libro (tenuto “nella mano destra di Colui che sedeva in trono (Dio)… sigillato con sette sigilli”) e di guardarlo” (Ap 5,3); Gesù piange perché Gerusalemme “non ha riconosciuto il tempo in cui è stata visitata” (Lc 19,44).

L’amarezza di Gesù è grande, non solo perché i suoi tentativi sono falliti (“Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come un chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto”, Lc 13,34), ma anche e soprattutto perché non c’è più tempo per rimediare ed evitare la catastrofica distruzione della città.

Di che cosa parla il libro che Dio Creatore tiene nella mano destra, scritto su entrambi i lati e sigillato?

Il pianto disperato di Giovanni fa intuire l’importanza di questo libro e la sua mancata lettura fa pensare a un’immensa perdita. Il libro parla di dove approderà la storia degli uomini, una storia che, stando alle cronache di ogni tempo, appare martoriata dall’aggressione del male, una storia che ha bisogno di essere liberata da questa aggressione.

Il pianto di Giovanni è consolato da uno degli anziani (“non piangere”), il quale indica chi è in grado di aprire quel libro e leggerlo: una persona che ha i tratti di un vincitore (“il leone della tribù di Giuda”), l’Agnello che mostra il segno di una ferita mortale (“come immolato”), che sta davanti a Dio, che con Dio occupa il centro, che con Dio e come Dio è adorato. L’Agnello immolato e adorato mostra 7 corna (il segno della potenza pronta ad agire) e 7 occhi (capace quindi di vedere, di sapere e di conoscere). Il canto dei 4 esseri viventi e dei 24 vegliardi riconosce all’Agnello la competenza a consultare il libro, a comunicarne il contenuto, perché, offrendo la propria vita (“è stato immolato”), ha riscattato (liberato) dal male tutti gli uomini.

Il pianto di Gesù non è il pianto del rancore e del risentimento di chi si sente umiliato da una sconfitta, ma è il pianto di chi patisce il dolore per l’occasione sciupata da Gerusalemme, città amata da Dio, perché non ha colto il tempo della sua visita, con Gesù.

Cosa possono dire questi due testi a noi pastori, a me Vescovo che ricordo con gratitudine al Signore il terzo anniversario della mia ordinazione episcopale, ai sacerdoti, che pure loro ringraziano il Signore per anniversari significativi della loro ordinazione sacerdotale: il vescovo Mario Cecchini, don Aldemiro Giuliani, don Severino Bastianelli (per i 60 anni); don Gino Fattorini e don Sergio Zandri, (per i 50 anni) e don Luciano Guerri (per i 25 anni) e agli altri sacerdoti della nostra chiesa di Senigallia?

La parola di Dio ci pone di fronte a situazioni ricorrenti nel nostro ministero di pastori: anzitutto la sofferenza di tante persone che faticano a trovare un senso buono a quanto accade nella loro esistenza e per questo si sentono smarrite, prigioniere della confusione; poi la nostra sofferenza di fronte alle chiusure di tanti nei confronti del Signore, del suo amore, all’abbandono della pratica della fede o a una pratica della fede a singhiozzo, che non è più solo degli adulti, ma ormai anche dei nostri ragazzi, una sofferenza che rischia di lasciarci appesantire e frenare dalla delusione nel nostro ministero o d’innescare nel nostro cuore quelle considerazioni sconsolate, quei risentimenti, quei giudizi aspri, propri di chi si sente sconfitto.

L’Agnello immolato dell’Apocalisse – Gesù Cristo, il Crocifisso-risorto – ci invita ad accogliere la sua parola che illumina il tracciato della storia degli uomini e guida i passi della nostra esistenza, ci invita inoltre a offrire la sua parola alle persone che il ministero ci fa incontrare, soprattutto a chi si sente smarrito, perché non riesce a intravedere la buona destinazione della propria vita, perché il cuore e gli occhi sono velati dalle tante sofferenze che la vita infligge loro.

Gesù che piange su Gerusalemme ci sollecita, di fronte alle chiusure che incontriamo nel nostro ministero, a non cedere alla tentazione del rancore, dell’abbattimento (propri di chi si sente sconfitto), ma a conservare nel cuore e nei nostri atteggiamenti quella cura per le persone, propria di chi non smette di amare e che per questo n on si lascia mortificare dalla sofferenza per le chiusure che incontra.

Mentre rinnoviamo al Signore la gratitudine per il dono del ministero

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