Quella del 2 Febbraio è una giornata nella quale si concentrano più celebrazioni. Accanto alla festa liturgica della presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme, troviamo la giornata dedicata alla vita consacrata. Nella nostra chiesa diocesana, poi, ricordiamo Maria, madre della speranza.
Tre celebrazioni che convergono su un’unica persona, su Gesù, il quale, come scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei nella seconda lettura della Messa: «è diventato un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo» (Eb 2,17)..
“Espiare i peccati” è un’azione che ha un impatto liberante nei confronti degli uomini, i quali, è sempre la Lettera agli Ebrei a segnalarlo, «per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2, 15). Per operare questa liberazione il Figlio di Dio «si è reso in tutto simile ai fratelli».
Questa immagine alta di Gesù e la sua azione liberatrice non contrastano con l’immagine più dimessa di Gesù, bambino, di cui parla il vangelo di Luca. L’evangelista, che poco prima aveva segnalato che il nome dato a questo bambino, Gesù, nel nostro testo lo presenta come bambino (per ben 4 volte), dipendente dagli altri: dai genitori che “lo portano a Gerusalemme”, da Simeone, che “lo prende in braccio”, da Anna che “parla di lui”, e, infine, dalla grazie di Dio che “era su di lui”.
Eppure è proprio questo bambino che muove le persone, dalle quali dipende, perché è lui il primogenito maschio “sacro al Signore”; è lui il Cristo Signore, atteso per lungo tempo dall’anziano Simeone; è lui il segno di contraddizione, che coinvolgerà sua madre in modo drammatico nella propria vicenda («Anche a te una spada trafiggerà l’anima», Lc 2,35)); è lui la redenzione di Gerusalemme di cui parla la profetessa Anna, una vedova che la perdita del marito molti anni prima non aveva intristito e imprigionato il suo cuore nel dolore.
Questo bambino diventa luce che illumina, attrae tante persone; i suoi genitori, che ancora una volta si lasciano guidare da lui; l’anziano Simeone, il quale, ora che l’ha tra le braccia, può congedarsi dalla vita senza paura né rimpianti; Anna, l’anziana vedova che alla sua vista non recrimina contro Dio per la sua lunga vedovanza, ma lo loda e parla agli altri non della sua sventura, ma di lui.
Ecco, questo bambino che non può muoversi da solo, non può ancora parlare di sé, ma che è portato e accolto con amore tra le braccia, che riempie di sé l’esistenza di tante persone ci consente di comprendere e apprezzare la testimonianza che le persone consacrate offrono con la loro esistenza di uomini e donne che, in modo singolare riconoscono il Signore come il loro tesoro, la perla preziosa per la propria vita, come presenza che libera la vita dal timore della morte.
Questo modo singolare di parlare del Signore con un’esistenza trascorsa in un’attesa di lui, che non viene mai meno, come è stato per Simeone; un’esistenza che non si lascia intristire dalla solitudine, ma che loda Dio come l’anziana vedova Anna, parla a noi tutti. Per questo siamo loro grati assicuriamo ai fratelli e alle sorelle consacrate la nostra preghiera, perché il Signore, resti sempre per loro quel bambino da accogliere con amore, per il quale lodare Dio Padre, del quale parlare a tutti e dal quale lasciarsi condurre nella vita, ogni giorno.
E Maria, madre della speranza perché non si è sottratta alla richiesta di suo figlio Gesù, il bambino che ha portato al Tempio, di prendere parte con Lui all’offerta della propria vita, per liberare i suoi fratelli dalla paura della morte, continui ad essere tale – madre della speranza – per ciascuno di noi, in ogni giorno della nostra esistenza e ci insegni a lasciarci portare da suo figlio Gesù.