Nelle istruzioni di Gesù ai discepoli inviati nei villaggi vicini (cfr Mc 6,7-13), la prescrizione riguardo a quello che i missionari devono portare con sé fa riferimento a ciò che serve per camminare, per uscire (come il bastone, i sandali) e non a ciò che riguarda il restare fermi, in un luogo (come il pane, la sacca, il denaro, due tuniche).
La scelta di Gesù, poi, di mandare i discepoli a due a due suscita una domanda: perché “a due a due”?
Una prima risposta proviene dalla normativa giuridica ebraica: ai tempi di Gesù una testimonianza era riconosciuta attendibile solo se confermata almeno da due persone.
Dietro questa indicazione c’è però una motivazione più profonda: i discepoli vanno due a due perché possono annunciare il vangelo del Regno solo come fratelli che camminano insieme. Gesù espliciterà questa motivazione più avanti, nell’ultima sera trascorsa con gli stessi discepoli, quando, dopo averli esortati ad amarsi gli uni gli altri, concluderà che «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Gesù “toglie” tutto (senza denaro, senza sacca, senza pane), perché i discepoli imparino ad affidarsi ai fratelli con i quali condividono la testimonianza del Regno. L’evangelista Marco racconta che i Dodici, «partiti, proclamarono che la gente si convertisse» (6,12), sollecitavano, cioè, le persone a rendersi disponibili ad accogliere quanto loro annunciavano su mandato di Gesù: il Regno di Dio, Dio che si avvicina agli uomini per liberarli dall’aggressione del male.
I discepoli non si limitano ad annunciare, ma operano perché «scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano» (6,13).
Gesù ci associa alla sua missione di annunciare il lieto messaggio della presenza di Dio salvatore nella storia degli uomini. Anche noi siamo impegnati nella lotta decisiva contro il male, contro Satana, il suo ispiratore, il nemico dell’uomo, perché cerca in ogni modo di strapparlo all’amore di Dio Padre.
Per compiere fedelmente questa missione dobbiamo essere, come i discepoli del vangelo, liberi e disponibili. Liberi, perché non confidiamo in noi stessi, ma in Colui che ci manda e non ci lascia soli in questa avventura; disponibili a compiere fino in fondo il nostro compito, senza ritirarci di fronte alle difficoltà, al rifiuto.
Il beato papa Pio IX, ha onorato il mandato di Gesù. Oltre che il “papa dell’Immacolata” e il “papa della devozione al Sacro Cuore”, è considerato anche come il “papa delle missioni”.
Il giovane sacerdote Giovanni Maria Mastai Ferretti inizia il suo servizio ecclesiastico come missionario, nella Nunziatura in Cile. Di qui non avrebbe voluto allontanarsi e ritornare a Roma per poter portare il vangelo agli Indios; tanto che scriveva: “A quest’ultime (le missioni) veramente tendevano i miei desideri, quando la prima volta sentì discorrere in Roma del Cile e gli affetti che in me allora si risvegliarono non avevano altro di mira che Indiani, pellegrinaggi, ecc.”. Simili espressioni di zelo per l’evangelizzazione degli indiani sono frequenti nel suo Diario.
Dopo il suo ritorno dall’America come vescovo a Spoleto e a Imola si dedicò con decisione all’azione missionaria. A Imola nel 1837, primo tra i vescovi d’Italia, istituì l’Opera della Propagazione della Fede, indirizzando una lettera pastorale alla diocesi. Uno dei suoi primi atti di sommo pontefice fu l’approvazione il 18 luglio 1846 dell’Opera della Santa Infanzia. Grandi e storiche fondazioni missionarie sorsero sotto il pontificato di Pio IX.
Papa Pio IX ci invita ad accogliere il mandato di Gesù, ad essere testimoni appassionati del Vangelo di Gesù con la nostra vita, nel mondo, nei luoghi dove trascorriamo la nostra esistenza, con le persone che la vita ci fa incontrare.
Al beato Pio IX chiediamo che accompagni con il suo patrocinio la Chiesa universale, la Chiesa di Senigallia, là dove lui è nato ed è stato generato alla vita cristiana, nella loro testimonianza del vangelo di Gesù, perché non vengano mai meno al mandato di Gesù e lo onorino con amore e con fiducia.