All’inizio della Quaresima risuonano gli insistenti inviti del profeta Gioele (Gl 2,12-18), dell’apostolo Paolo (“Cor 5,20-6,2), del salmista (Sal 50) e di Gesù (Mt 6,1-6.16-18). Il profeta Gioele dà voce a Dio stesso: “Ritornate a me con tutto il cuore… proclamate un solenne digiuno… radunate il popolo”. L’apostolo Paolo: “lasciatevi riconciliare con Dio”. Perché questi inviti e che cosa giustifica questa insistenza?
A suggerire gli inviti e a spiegarne l’insistenza sta il desiderio di Dio di ricuperare con il suo popolo, con ciascuno di noi la relazione dell’alleanza, una prossimità alimentata dalla fiducia reciproca. Per il ricupero di questa prossimità con noi, Dio s’impegna personalmente (“si muove a compassione per il suo popolo”, proclama il profeta Gioele), si spinge fino a “rendere peccato a nostro favore” suo Figlio (azzarda l’apostolo Paolo). Dio, che non è per nulla responsabile della rottura dell’Alleanza, del venire meno della prossimità con noi, si mostra il più interessato a ricuperarla, a farla ripartire. Per quel motivo? Perché prova compassione per noi, si appassiona a noi, perché noi gli stiamo a cuore. Per questo ci soccorre, viene in nostro aiuto.
Alla luce degli inviti di Gioele e di Paolo il tempo della Quaresima si presenta come il tempo in cui Dio rompe ogni indugio (se così possiamo dire), perché il suo desiderio di prossimità, di alleanza con noi, che non è mai venuto meno, di possa finalmente compiere.
Come accogliere questi inviti? Come dare la possibilità a Dio di vedere compiuto il suo desiderio?
“Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore”, è l’invito, che prima della proclamazione del vangelo ci viene rivolto dal salmo 94. Il salmista ci sollecita ad “ascoltare la voce del Signore”, ad assecondare il suo desiderio di riconciliazione con noi, suo popolo e con ciascuno di noi, suoi figli.
Gli inviti di Gesù tracciano un percorso concreto che consenta a Dio di apprezzare la nostra disponibilità all’alleanza con Lui. La parola di Gesù fa riferimento alle pratiche del credente ebreo (l’elemosina, la preghiera, il digiuno) pratiche, che, almeno per le prime due, caratterizzano stabilmente anche il nostro cammino di discepoli. Gesù ci mette in guardia dal pericolo di piegare l’elemosina, la preghiera, il digiuno, a noi, di servirci di queste azioni per la nostra promozione, per celebrare noi stessi e non per onorare Dio, per dare ascolto alla sua voce. Gesù dice questo perché conosce bene il cuore dei suoi discepoli, sa che anche i suoi amici non sono al riparo dalla tentazione di dare ascolto più a se stessi, al proprio bisogno di riconoscimento, che di onorare Dio, di fare in modo che le opere buone che compiono siano motivo per dare gloria al Padre, per riconoscerlo cioè come Dio affidabile, perché si prende cura di ogni suo figlio.
Alla luce dell’invito di Gesù la Quaresima può essere il tempo propizio per ricuperare la pratica dell’elemosina (il soccorso al povero), della preghiera (il riconoscimento del prossimità di Dio) e del digiuno (l’esercizio della libertà) al loro vero significato, di viverle cioè come gesti che prima di servire a noi, onorano Dio e gli consentono di “venire in nostro soccorso” per offrirci quella “ricompensa” che gli sta a cuore, una rinnovata prossimità con noi, quella dell’amore di un Padre che ha compassione die suoi figli, che continua a prendersi cura di loro.
Gli inviti che ci sono rivolti dal profeta Gioele, dall’apostolo Paolo, dal salmo e da Gesù costituiscono “l’itinerario spirituale della Quaresima (come ci ricorderà la preghiera che rivolgeremo a Dio prima dell’imposizione delle ceneri). Se li accoglieremo con fiducia saremo nelle condizioni di “giungere completamente rinnovati a celebrare la Pasqua di Gesù” (come chiederemo a Dio in quella preghiera).