La preghiera che precede la proclamazione della parola di Dio presenta la Quaresima come il tempo in cui siamo chiamati a lottare contro “le continue seduzioni del maligno”. Per risultare vincitori in questa lotta, nella preghiera chiediamo al “Signore, nostro Dio” il suo aiuto (“stendi la tua mano su di noi”) e riconosciamo nella parola che ci nutre come un pane (“nel pane della tua parola”) e nello Spirito che dà forza (“fortificati dal tuo Spirito”), l’aiuto che ci consente di superare le seduzioni del maligno.
La preghiera s’ispira a quanto è accaduto nel deserto, dove, come ci racconta l’evangelista Luca, Gesù, da poco proclamato dal Padre “il Figli amato, nel quale aveva posto il suo compiacimento” (Lc 3,22), al fiume Giordano, deve affrontare un duro scontro con il grande seduttore e divisore, il diavolo.
Nel deserto Gesù è messo alla prova proprio riguardo al suo essere e vivere da Figlio: le tentazioni iniziano e si chiudono nello stesso modo: “Se tu sei Figlio di Dio…”. Il diavolo non nega che Gesù sia Figlio di Dio, ma gli propone una personale interpretazione del suo essere Figlio che non prevede il ricevere dalle mani del Padre ciò che serve alla vita (la sua parola), ma l’iniziativa personale (prima tentazione); che esclude la fiducia, l’abbandono, per lasciar posto alla verifica (terza tentazione).
Gesù decide di vivere da Figlio, non alla maniera suggerita dal Tentatore, ma alla maniera indicata dal Padre stesso. Sono le Scritture sante a indicare a Gesù la modalità di vivere da Figlio.
Gesù non fa del proprio bisogno (quello del cibo rappresenta tutti i bisogni dell’uomo) l’orizzonte esclusivo dell’esistenza, perché sa che la vita dell’uomo non dipende dai beni (“non di solo pane vivrà l’uomo”; cfr. Lc 12,15: “anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”); sa che la cura della vita non è esaurita dalla cura dei bisogni (cfr. Lc 12,23: “la vita vale più del cibo”).
Gesù non decide anticipatamente, rispetto alla promessa del Padre, le condizioni del suo credito a Lui (“non metterai alla prova il Signore Dio tuo”), perché riconosce nella stessa promessa del Padre la ragione per fidarsi di Lui.
Il brano evangelico, letto all’inizio del cammino quaresimale, dice il senso della Quaresima, di quella “lotta spirituale” che caratterizza questo tempo liturgico. L’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto dice che la “lotta spirituale”, prima che l’ambito morale (quello del comportamento), riguarda quello della fede, del nostro rapporto con Dio, un rapporto che corre il rischio di essere interpretato e vissuto in modo distorto.
Noi siamo figli amati dal Padre e siamo chiamati a vivere da figli che si fidano del Padre, che lo considerano il bene più prezioso (“la grazia che vale più della vita” come recita il salmo 62) e che fanno del servizio al Regno di Dio (l’amore che provvede a ogni uomo) l’orizzonte della propria esistenza.
Alla luce del testo evangelico, la lotta spirituale si caratterizza come un
- Impedire che quanto succede nella vita insinui il sospetto che Dio è inadempiente, non mantiene le promesse a favore dei suoi figli.
- Imparare ad affrontare l’esistenza con i suoi bisogni e preoccupazioni, da figli che sanno del Padre, del suo desiderio di dare loro cose buone, per questo rinunciano a metterlo alla prova, fanno della sua parola la luce e il pane per il proprio cammino.
La lotta spirituale non è solo del tempo quaresimale, ma accompagna la vita cristiana e la caratterizza come esistenza “messa alla prova”, perché il Tentatore non si rassegna al fatto che “siamo di Cristo”, che ci fidiamo di Dio e Dio si fida di noi, lo amiamo come figli e Lui ci ama come Padre, che ubbidiamo a Lui.
Si affronta la lotta spirituale pregando, lasciando emergere nel cuore le “ragioni” di Dio, come la sua Parola le presenta e lo Spirito le spiega. Pregare ascoltando la Parola e lo Spirito.
La preghiera nella prova come momento in cui fare la professione di fede in Dio, ribadire la nostra fedeltà filiale alla sua volontà; come domanda della protezione di Dio, della sapienza dello Spirito, perché non prevalgano le ragioni del Tentatore, il quale utilizza situazioni difficili, preoccupazioni reali, i nostri desideri, per fare breccia nel nostro cuore e allontanarlo da Dio, dal suo servizio.