«Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). L’evangelista Giovanni commenta le parole di Gesù: «Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (v 35).
Oggi siamo qui perché attirati da Gesù crocifisso. Un crocifisso non è un bel spettacolo da vedere, non attira gli sguardi delle persone, anzi li allontana. Anche Gesù non fa eccezione, perché, come segnala il profeta Isaia, riguardo al servo di Jahvè nella prima Lettura appena proclamata (Is 52,13-53,12), anche Gesù «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere… uno davanti al quale ci si copre la faccia». Allora perché siamo qui? Perché io sono qui?
Siamo qui, perché, è ancora il profeta Isaia a parlare, Gesù «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre ingiustizie… portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli». Siamo qui perché Gesù «prende parte alle nostre debolezze» e perché anche lui è stato messo alla prova come noi» (Eb 4,15).
Siamo qui, anche, per lasciarci attirare a lui, nello spazio del suo amore che crea comunione, proprio là dove altri, come i capi del popolo, i soldati e uno dei malfattori, non creano affatto comunione, ma erigono barriere nei confronti di Gesù. in croce Gesù crea comunione con chi gli sta togliendo la vita («Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno», Lc 23,34), con chi è rimasto per tutta la vita, come il malfattore, lontano da lui («Oggi, come sarai nel paradiso», Lc 23,43), con chi, come il centurione romano aveva guidato le operazioni della sua esecuzione («Veramente quest’uomo era giusto», Lc 23, 47). Gesù vuole creare comunione anche con noi.
Oggi noi ci lasceremo attrarre da Gesù crocifisso compiendo un gesto che sta al cuore della celebrazione: adoreremo e andremo dal Crocifisso, senza girare lo sguardo da un’altra parte, né coprirci la faccia di fronte alle sue ferite, ma, con un bacio, una carezza, esprimeremo ancora una volta la nostra gratitudine perché lui «ha portato i peccati di molti», anche i nostri, perché «per le sue piaghe noi siamo stati guariti», perché dopo quella morte non ci sentiamo più “sperduti come un gregge”.
Andremo da lui per chiedergli di “rinnovarci a sua immagine”, come uomini e donne che creano comunione negli ambienti della vita quotidiana, anche là dove non si parla il linguaggio della comunione, ma della divisione, del risentimento, della chiusura e anche quando la vita ci riserva situazioni, ci chiede relazioni con persone, che sembrano non avere senso, perché difficili, incomprensibili, perché ci feriscono, ci fanno star male.