Veglia Pasquale (20 aprile 2019)

L’introduzione a questa Veglia ci ha ricordato perché siamo qui: ci siamo riuniti, non per commemorare un fatto accaduto ormai moltissimi anni fa, un fatto risultato decisivo, non solo per i discepoli di allora, ma anche per quelle persone che in seguito sono diventati discepoli del Crocifisso Risorto; tra questi ci siamo anche noi. Non siamo qui per ricordare, ma per “rivivere” la Pasqua del Signore, la Pasqua di Gesù di Nazareth, non da spettatori contemporanei (questo non è stato possibile nemmeno per i discepoli di allora, i quali non hanno assistito alla risurrezione di Gesù, ma lo hanno riconosciuto Risorto), ma da destinatari, beneficiari, di quella Pasqua, cioè di quanto quella Pasqua continua a offrire a quanti hanno scelto di condurre la propria esistenza da discepoli di Gesù, il Crocifisso Risorto.

Noi stiamo rivivendo la Pasqua di Gesù, ascoltando la parola di Dio e partecipando ai sacramenti, a uno in particolare, l’Eucaristia, ma per Emanuel anche al Battesimo e per Daniela anche alla Cresima.

I testi della parola di Dio, proclamati in questa Veglia (una parte rispetto ai numerosi testi proposti dalla liturgia) ci hanno parlato dell’azione di Dio a favore degli uomini, un’azione avviata con la creazione, che, come ne parla il testo della Genesi (1,1-2,2) risulta molto di più che la produzione delle cose, perché rappresenta la costruzione di una casa (il mondo) ospitale per gli uomini e le donne, voluti da Dio “a sua immagine e somiglianza” e custodi di questa casa, che è il creato. Un’azione quella di Dio che non si è esaurita con la creazione del mondo, ma che è proseguita a favore di un gruppo di persone fuggite dalla schiavitù e che correva il rischio di vedere infrangersi il loro desiderio di libertà di fronte a un mare che bloccava il loro cammino (cfr Es 14,15-15,1).

Il testo del profeta Ezechiele (36,16-17a.18-28) ci ha raccontato di come Dio ha reagito di fronte all’infedeltà del popolo che aveva condotto alla libertà: ancora una volta decide d’intervenire, non più per strapparlo al dominio di un altro popolo, ma per assicuragli un cuore nuovo, libero (“ un cuore di carne”), perché solo un cuore libero è garante della libertà autentica.

Finalmente il testo della Lettera di Paolo ai Romani (6,3-11), che ci ha parlato del nostro battesimo, la nostra prima Pasqua con Gesù, dagli esiti straordinari: una vita nuova, liberata dalla schiavitù del peccato e un futuro di vita, assicurato: la risurrezione “a somiglianza della risurrezione di Gesù”.

Il vangelo di Luca (24,1-12) ha raccontato ciò che nessuno dei discepoli si aspettava, che Gesù potesse risuscitare e abbandonare il sepolcro, dove si erano recate le donne con i loro profumi, espressione di un amore delicato e più forte della morte, ma che con quel gesto certificava che anche per le donne Gesù era morto, un morto da onorare; un sepolcro vuoto di fronte al quale Pietro non va oltre lo stupore e che abbandona per tornare a casa.

I fatti raccontati dai testi biblici non sono più ripetibili, restano confinati nel tempo e nei luoghi del loro accadimento, non resta però confinato nel passato quel Dio che li ha provocati, perché il Dio, creatore e liberatore continua ad operare, a ricreare il cuore degli uomini, a liberarli dalle tante schiavitù che affliggono il loro cuore e umiliano la loro esistenza.

E nei sacramenti che questa notte celebriamo, l’Eucaristia per tutti, il Battesimo per Emanuel e la Cresima per  Daniela, Gesù risorto ci ridona ancora una volta la libertà del “cuore di carne” e ci conferma che con Lui risorto è possibile anticipare fin da ora, nel mondo in cui il Dio Creatore ci ha posto, nei luoghi della vita quotidiana, quel futuro di risurrezione, dove l’uomo vecchio con il suo mondo di connivenze con il male, di cuori di pietra, chiusi, per paura o per calcolo, lascia campo all’uomo nuovo, quello del cuore di carne, che costruisce legami nuovi, con la creazione (che è la casa affidataci da Dio), con le persone, a partire da quelle che ci sono più prossime, non solo per i legami di sangue o di cultura, ma anche per quella comune appartenenza all’umanità voluta da Dio “a sua immagine e somiglianza” e che si avvicinano a noi con la richiesta di consentire loro un’esistenza all’altezza della loro dignità.