L’apostolo Paolo per far comprendere ai cristiani di Corinto l’impatto che la Risurrezione di Gesù ha sulla loro vita ricorre a una realtà che le persone impegnate in cucina conoscono bene, il lievito.
Il potere del lievito è noto: fa fermentare tutta la pasta. Senza il lievito la pasta non serve a nulla, non lievita, resta come “morta”, con il lievito la pasta riprende vigore, diventa cibo apprezzato. Per questo la qualità del lievito è decisiva: un lievito “vecchio”, che ha perso vigore, non serve a nulla, penalizza anche la pasta.
Nel contesto del testo paolino il lievito che fa fermentare la pasta è Gesù Risorto (“Cristo, nostra Pasqua”) e la pasta è la nostra esistenza, siamo noi con la nostra vita. Cristo risorto è il lievito che fa fermentare la pasta della nostra vita, che dà vigore e gusto alla nostra esistenza.
Da qui un duplice perentorio invito dell’Apostolo. Il primo: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova”. Il senso dell’invito: se non volete restare “azimi”, pasta senza sapore, inservibile, sbarazzatevi del lievito che ha ormai perso ogni capacità, e accogliete il lievito nuovo, giovane, pieno di vita, in grado di dare gusto alla pasta. Il secondo invito indica le conseguenze in riferimento alla celebrazione della festa di Pasqua: “celebriamo la festa non con il lievito vecchio”.
Per Paolo c’è incompatibilità tra fare Pasqua, celebrare la risurrezione di Gesù Cristo, il “lievito giovane”, e la conservazione del “lievito vecchio”. Il “lievito vecchio” da buttare è tutto ciò che è connivente con il male, delle intenzioni, dei desideri, delle parole, delle azioni e che inquina, rovina, invece di far crescere, di dare gusto alla vita, alle relazioni e alle nostre azioni.
Il “lievito giovane” che fa crescere, che dà gusto è costituito da quella “sincerità e verità”, mostrate da Gesù Cristo con la sua vita e con la sua morte, dalle quali emerge che Gesù non ha messo al centro i propri desideri, i propri progetti, non ha fatto valere i propri diritti; non ha deciso in totale autonomia la verità delle cose, il valore delle persone, la convenienza delle proprie scelte, ma si è fidato del Padre del cielo, lo ha interpellato e ascoltato. Per questo Gesù è stato capace di quella ospitalità nei confronti delle persone, di tutte le persone, anche di quelle a lui più ostili, che noi ammiriamo e che tutti, anche chi non si considera suo discepolo, gli riconoscono. Un’ospitalità che lo ha condotto alla “morte infame” della crocifissione.