Ordinazione diaconale di Matteo Guazzarotti e Mirco Micci (9 novembre 2019)

La preghiera che abbiamo rivolto a “Dio grande e misericordioso”, prima di metterci in ascolto della sua parola e della parola di Gesù, ci richiama a una verità non sempre riconosciuta: noi siamo in cammino verso Dio; il percorso della nostra esistenza, quello segnato dallo scorrere del tempo, dei nostri anni, non ha una destinazione ignota, oscura o, peggio, di morte, ma l’approdo al “Dio dei viventi”, come ci ha ricordato Gesù nel vangelo appena proclamato.

La preghiera ci ha anche indicato come dovrebbe essere condotta la nostra esistenza: nel servizio al Dio “grande e misericordioso”. Dobbiamo riconoscere che anche questa figura dell’esistenza come servizio a Dio, nel nostro tempo non è più apprezzata come un buon e sapiente investimento della propria vita.

Sempre nella preghiera abbiamo chiesto a Dio di creare le condizioni (“allontana ogni ostacolo”) perché il nostro servizio a lui sia libero e sereno. La richiesta nasce dalla constatazione che non sempre e non tutti i servizi richiesti nella vita e dalla vita (anche quelli richiesti dalla stessa vita di fede) siamo in grado di svolgerli con libertà e con serenità.

È una preziosa coincidenza che la richiesta di un servizio libero e sereno da parte nostra la rivolgiamo a Dio proprio nell’ordinazione diaconale di Matteo e Mirco, perché ciò che caratterizza l’esistenza e l’azione del diacono è proprio il servizio. Per questo, se la richiesta a Dio riguarda tutti, in modo particolare riguarda voi due, Matteo e Mirco.

La parola di Dio, appena proclamata, ci indica che cosa può garantire libertà e serenità al nostro servizio, al servizio che come diaconi questa sera Matteo e Mirco si rendono disponibili ad assumere come investimento prezioso e sapiente della propria esistenza.

La “fierezza” dei sette fratelli, di cui ci ha parlato la prima lettura, fatti torturare dal re Antioco alla presenza della loro madre (cfr 2Mac 7,1-2.9-14), non attinge tanto al coraggio degli eroi che sfidano il potente di turno che infierisce su di loro, ma “alla speranza di essere da Dio di nuovo risuscitati”, una speranza solida, resistente alla comprensibile paura per la sofferenza provocata dalle bestiali torture.

Anche l’apostolo Paolo, scrivendo alla comunità di Tessalonica (cfr 2Ts 2,16-3,5), parla di una “buona speranza”, offerta, con “la consolazione eterna”, “per grazia”, da “Dio Padre nostro che ci ha amati” e augura ai cristiani di quella comunità che questa speranza “conforti (dia forza, vigore) i loro cuori” e “li confermi (le renda stabili, determinati) in ogni opera e parola di bene”. All’origine dell’augurio paolino sta la consapevolezza, alimentata dalla fede, che “il Signore è fedele”, che non viene meno al suo amore per noi.

E Gesù, nel vangelo (cfr Lc 20,27-38), provocato dalla domanda-trappola dei Sadducei, che negano la  risurrezione, ribadisce la risurrezione dei morti, perché il Dio, che anche i Sadducei onorano, “il Dio di Abramo, Isacco  e Giacobbe”, non è un “Dio dei morti”, un Dio che, al pari degli uomini, soccombe di fronte alla morte, ma “dei viventi”, perché garantisce a tutti la vita piena, quella vita che la morte non ha alcuna possibilità di minacciare.

Matteo e Mirco, questa sera voi dite al Signore la vostra disponibilità di dedicarvi a quell’opera di bene che è il servizio di Dio con tutta la vostra persona e impegnando l’intera esistenza. Comunicate a noi e al Signore la decisione di percorrere il cammino della vostra vita verso il Dio dei viventi in un servizio libero e sereno.

La nostra Chiesa di Senigallia accoglie con gioia la vostra decisione e chiede con fiducia al “Dio grande e misericordioso” di “allontanare ogni ostacolo” dal vostro servizio, l’ostacolo della paura di dedicare l’intero tempo della vostra vita, tutte le risorse della vostra persona, all’opera di bene, che è il servizio per il Regno di Dio, per il vangelo di Gesù. La nostra Chiesa chiede anche che non venga mai meno in voi e nel vostro servizio la libertà e la serenità di chi sa, come l’apostolo Paolo, che il Signore è fedele; di chi, come i sette fratelli martiri, attinge alla promessa di vita di Dio la forza della fedeltà e di chi, come Gesù, sa che il Dio al servizio del quale vi ponete, non è un Dio morto, né il Dio dei morti, ma il Dio che vive e che dona la vita risorta, definitivamente liberata dalla paura e dalla morte.