I testi della liturgia della 4a domenica di Pasqua parlano di Gesù risorto come il “buon Pastore”. Nella preghiera della Colletta, rivolta a “Dio, nostro Padre”, abbiamo riconosciuto Gesù come il buon pastore che “ci dona l’abbondanza della vita”.
Nel salmo responsoriale (Sal 22), il salmista riconosce che “il Signore è il suo pastore”, che si prende cura di lui personalmente, tanto da renderlo sereno nel presente della sua esistenza (“non manco di nulla… non temo alcun male”) e rassicurarlo per il suo futuro (“bontà e fedeltà mi saranno compagne… abiterò nella casa del Signore per lunghi giorni”). Noi abbiamo condiviso la serenità del salmista quando abbiamo ripetuto più volte: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”.
Nella 2a Lettura (1Pt 2,20b-25) l’apostolo Pietro, dopo aver invitato i credenti di quella comunità in sofferenza per l’ostilità che la circonda, a seguire “le orme di Gesù”, il suo atteggiamento di fronte alla violenza che lo colpiva («insultato non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia»), parla di Gesù come “pastore e custode” della loro vita, di loro che “erano erranti come pecore senza pastore”.
Nel vangelo (Gv 10,1-10) Gesù parla di sé come la “porta” e il “pastore” delle pecore e illustra la sua azione a favore delle pecore: le chiama ciascuna per nome, le conduce fuori e cammina davanti a loro, offre loro la vita piena (“in abbondanza”).
La parabola raccontata da Gesù descrive una scena di vita pastorale. Diversi i protagonisti: le pecore, il guardiano, il ladro e il pastore. La spiegazione di Gesù si concentra sulla “porta delle pecore”, della quale vengono proposte due spiegazioni. Nella prima Gesù presenta se stesso come “la porta delle pecore”. Gesù è la porta nel senso che, per aver cura del gregge, bisogna passare attraverso di lui. Nella seconda spiegazione Gesù si presenta come la porta attraverso la quale passano le pecore stesse, per andare al pascolo. Anche qui Gesù è la porta, nel senso che è l’unica porta della salvezza, che apre alla vita. Gesù conclude la spiegazione della parabola sottolineando il contrasto tra lui che va dalle pecore per «portare la vita in abbondanza» e il ladro che invece va per «rubare, uccidere e distruggere».
Gesù, con le immagini del pastore e della porta, ci rivela ancora una volta che solo lui è la nostra salvezza e ci fa dono della vita “in abbondanza”. Gesù è il pastore che conosce il mio nome, il mio cuore, con le sue paure, incertezze e speranze, la mia storia personale, con le sue difficoltà, attese e delusioni, con i suoi traguardi raggiunti e con le sue sconfitte; è il pastore che «mi guida per il giusto cammino» (Sal 23,3), verso la felicità senza fine (Sal 23,6), «alle fonti dell’acqua della vita» (Ap 7,17).
Lui è la porta che mi apre sulla vita, attraverso la quale io entro nella vita, per sempre. Di fronte all’offerta di questa vita mi viene chiesto di seguire solo questo pastore, che è Gesù, di dare ascolto solo alla sua voce, di varcare solo questa porta, perché solo questo pastore non inganna né ruba la vita, ma la offre in abbondanza, perché la sua è una voce amica, che mi conduce ai pascoli della vita e perché, solo attraversando questa porta, io ho accesso a quella vita, dove il male e la morte sono definitivamente messi fuori gioco.
Lasciamoci interpellare dalla parola di Gesù: Chi sto seguendo in questo momento della mia vita? A quali pastori affido la mia vita, dò ascolto? Quali porte varco per cercare la vita?
Facciamo nostra la richiesta rivolta Dio, nostro Padre, all’inizio della celebrazione: «infondi in me la sapienza dello Spirito, perché fra le insidie del mondo sappia riconoscere la voce di Cristo, buon pastore, che mi dona l’abbondanza della vita».
E di questi tempi le insidie sono tante e impegnative, perché riguardano non solo i beni fondamentali della nostra esistenza, ma anche quella speranza senza la quale non si riesce a proseguire nella vita.