XVIII domenica Tempo Ordinario (2 agosto 2020)

Nella preghiera della Colletta abbiamo riconosciuto, anzitutto, che la compassione di Gesù verso la folla che lo aveva inseguito a piedi, non rivela solo il buon cuore del Figlio di Dio, ma anche “la bontà paterna” di Dio stesso: Dio, al pari di ogni padre (di ogni genitore), non resta indifferente alla situazione di bisogno dei suoi figli. Già nel testo del profeta Isaia (55,1-3), proclamato nella prima Lettura e nel testo paolino della seconda Lettura (Rm 8,35.37-39) era emersa questa qualità di Dio. Il profeta aveva riferito dell’ insistente invito del Signore (“venite…Su, ascoltatemi…Porgete l’orecchio e venite a me”), rivolto a “tutti gli assetati” e a coloro che avevano fame, ad andare da lui, per “magiare cose buone e cibi succulenti”. L’apostolo Paolo aveva dichiarato la sua persuasione che nessuna situazione, nemmeno quella più disperata, come la morte, né alcuna creatura avrebbe potuto avere la meglio sull’amore di Dio verso di noi (“potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Gesù Cristo, nostro Signore”).

Abbiamo poi rivolto al Padre due richieste. La prima che il pane (possiamo considerare il pane come simbolo dei beni che garantiscono una vita serena) sia da noi condiviso, non sia utilizzato solo per la cura della nostra vita. La seconda, che la partecipazione all’Eucaristia (“la comunione ai tuoi santi misteri”) ci apre (ci educhi, ci renda sempre più disponibili) al dialogo e al servizio verso chiunque si trova in una situazione di necessità, di bisogno.

Il senso della richiesta: l’incontro con Gesù che ogni domenica abbiamo con Gesù risorto nell’Eucaristia, ci renda capaci della stessa compassione che ha spinto Gesù a provvedere alla fame della folla.

Il pane che sfama la ”grande folla” è un pane che passa di mano: dalle mani dei discepoli a quelle di Gesù e nuovamente a quelle dei discepoli.

Nelle mani dei discepoli il pane non basta: la folla è troppo numerosa per la modestissima disponibilità dei discepoli (“non abbiamo che cinque pani e due pesci”). Nelle mani di Gesù i cinque pani non solo saziano la fame della “grande folla”, ma avanzano anche (“portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati”).

Gesù riconsegna i cinque pani spezzati ai discepoli perché diano seguito alla sua disposizione iniziale: “date loro voi stessi da mangiare”. Grazie a questa consegna i discepoli sono in grado di dare da mangiare alla “grande folla”.

I discepoli sono consapevoli della loro inadeguatezza a sfamare la gente, data la pochezza delle risorse di cui dispongono; tuttavia accettano di consegnare il poco che hanno nelle mani di Gesù. In questa consegna c’è tutta la loro fiducia nel Signore; questa consegna consente a Gesù di disporre del pane di cui la gente ha bisogno e ai discepoli di dare da mangiare.

Gesù, informato dai discepoli della impossibilità di sfamare la folla, accetta il poco che hanno (“portatemeli qua”) e li coinvolge nel dare da mangiare alla gente.

Il pane che Gesù offre “eccede” la fame della gente, è un dono che risponde al bisogno, ma non si lascia esaurire dal bisogno; è un pane che ha bisogno di mani che lo distribuiscano.

Dall’episodio evangelico viene un duplice invito. Il primo a imparare da Gesù a come stare di fronte alla gente. L’evangelista Matteo segnala che Gesù “sentì compassione” per le persone che aveva di fronte. La “compassione” dice il modo con cui Gesù si pone di fronte alla gente. Un modo che qualifica il suo sguardo, non semplicemente come un osservare, ma come un guardare che si rende conto, che si lascia coinvolgere dall’altro, dalla sua situazione. Una compassione che lo spinge ad agire a favore delle persone e che qualifica la sua azione come azione liberante, capace di restituire salute, vita, speranza.

Il secondo, a consegnare con fiducia al Signore le nostre risorse (di tempo, di capacità, di beni…), che sembrano sempre troppo poche, rispetto alle tante necessità, nella consapevolezza

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