Aurora di Natale 2020

Nella richiesta al Signore Dio onnipotente della preghiera della Colletta («fa che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito») abbiamo fatto ricorso al vocabolario della luce (“risplenda”, “rifulge”). La luce cui facciamo riferimento è quella nuova del Figlio di Dio, fatto uomo, con la quale Dio ci avvolge (sono sempre espressioni riprese dalla Colletta).

Senza la luce non possiamo vivere, non riusciamo a operare, non possiamo guardarci in faccia; senza la luce di una speranza non possiamo affrontare la vita, soprattutto quando ci mette alla prova (lo stiamo sperimentando proprio in questi mesi di pandemia).

La presenza del Figlio di Dio nella storia, nella nostra vita, che ricordiamo ogni anno nella celebrazione del Natale, porta quella luce di cui abbiamo bisogno; per questo abbiamo chiesto a Dio, il Padre di Gesù, che questa luce “risplenda” nei nostri cuori e nelle nostre opere.

Dio Padre asseconda la richiesta, invitandoci ad agire come i pastori di cui ha parlato il vangelo appena proclamato (Lc 2,15-20). I primi a essere avvolti dalla luce, come racconta l’evangelista Luca, sono proprio i pastori che vegliavano il gregge nella notte della campagna di Betlemme («Un angelo del Signore li avvolse di luce»). La loro prima reazione è stata una più che comprensibile paura («Essi furono presi da grande timore»), che provoca le rassicuranti parole dell’angelo («Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia…»). Saranno proprio quelle parole che li porteranno a decidere di andare fino a Betlemme a vedere l’avvenimento che era stato loro annunciato.

Da quella visita al bambino “avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia”, i pastori se ne tornarono liberi da ogni paura (“glorificando e lodando Dio”) e raccontando del bambino («e dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro»). Un racconto quello dei pastori che suscita lo stupore di chi li ascolta («Tutti quelli che li udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori»).

Il Figlio di Dio ha scelto come primi testimoni della sua nascita alcuni pastori, che per il lavoro che svolgevano li isolava dalla vita sociale, impediva loro di frequentare il tempio per la preghiera, che probabilmente non conoscevano le Scritture sante che collocavano della nascita del Messia proprio a Betlemme, erano le meno indicate per comprendere la portata di quella nascita e le meno credibili per raccontarla. Queste persone non restano imprigionate nella loro distanza dal Signore, nella paura, ma vanno a vedere, dando credito alla sorprendente notizia dell’angelo.

Dall’incontro con quel bambino i pastori imparano a conoscere Dio in modo nuovo, a trattarlo in modo diverso, non più a rimproverarlo e, probabilmente, a bestemmiarlo per le dure condizioni della loro vita e del loro lavoro, ma a lodarlo, a ringraziarlo. Imparano anche non solo a superare le recriminazioni, i lamenti e le maledizioni, ma anche a raccontare con entusiasmo quello che avevano visto nell’incontro con quel bambino e quanto avevano udito sul suo conto. Un racconto, quello dei pastori, che fa’ breccia nel cuori di chi lo udiva («Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori»).

I pastori ci indicano come agire perché la nuova luce che il Figlio di Dio ha portato sulla terra “risplenda nelle nostre opere”, nelle opere dell’esistenza quotidiana, che in questi tempi incontrano tante difficoltà, ci costano tanta fatica e che non viviamo con serenità.

I pastori c’invitano, anzitutto, a prestare ascolto alle parole che possono disinnescare le paure che ci affliggono; tra queste parole, quelle che il Signore ci rivolge sono le più accreditate a contrastare le nostre paure. C’invitano, poi, ad andare anche noi a vedere questo bambino, il Figlio di Dio nato per noi, ad andarci con frequenza, disponibili a lasciarci cambiare il cuore, gli sguardi sulle persone, su quanto succede nella nostra vita e nella storia, a imparare parole nuove, quelle della gratitudine, della comunicazione piena di fiducia, della compassione.

Infine, i pastori ci sollecitano a raccontare con la nostra esistenza il bene che il Figlio di Dio rappresenta per la nostra vita, per la vita di ogni persona; quel bene testimoniato in questi tempi tristi da tante persone di buona volontà, dal nostro modo di trattare gli altri, di vivere le responsabilità per il bene comune, di considerare con attenzione chi ha maggiormente bisogno di cura, di solidarietà.