Omelia nella Santa Messa Crismale (Cattedrale di Senigallia, Giovedì Santo, 8 Aprile 2004)

Senigallia, 8 aprile 2004

Carissimi Sacerdoti,
1. In questo giorno così significativo per tutti i cristiani, ma soprattutto per noi sacerdoti – è il giorno in cui siamo nati, perché proprio in quell’ultima sua Cena il Signore ha chiamato per nome ogni singolo sacerdote di tutti i tempi – ci raggiunge e ci riempie di consolazione il saluto dell’Apocalisse, ascoltato nella seconda lettura: “Grazia a voi e pace da Gesù Cristo (…) il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra” (Ap 1.4.5).
– Grazia: questo vuol dire che Dio ci guarda con benevolenza. Ci ha scelto come suoi ministri, malgrado la nostra povertà e inadeguatezza. Attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo ci ha donato il suo Spirito. Ci ha associati intimamente e indissolubilmente a suo Figlio, rendendoci partecipi della sua vita e della sua missione. Ci ha inseriti nel circuito dell’amore trinitario: ci ama come nessun altro ci può amare.
– Pace: Dio porta a pienezza la nostra vita con i suoi beni. La pace non è solo assenza di guerra, silenzio delle armi, tranquillità dell’ordine. E’ pienezza di vita; è serenità, è gioia.

2. In un mondo lacerato da lotte e discordie, in una società dove si fa fatica ad annunciare il Vangelo e il ministero sacerdotale si carica di compiti sempre più pesanti, con il rischio di essere sopraffatti dalle esigenze e di cedere allo scoraggiamento e al pessimismo, abbiamo assoluto bisogno di recuperare la gioia del nostro essere preti.
Dopo sette anni del mio ministero in questa Chiesa particolare, amata e benedetta dal Signore, ho ricavato l’impressione che voi confratelli siete molto impegnati nel lavoro pastorale; non posso fare a meno di ammirare il vostro zelo, la vostra dedizione e abnegazione, la vostra ansia di coprire i vari bisogni, di rispondere alle varie aspettative. Ma c’è il rischio che l’eccessivo lavoro porti a trascurare la coltivazione di sé come pure i rapporti di fraternità, sfociando in uno stato di tristezza e di chiusura in se stessi.
Ci ricorda San Paolo: “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7). Come potremmo proclamare nel nostro ministero con un cuore triste la gioia di essere amati da Dio? La gioia è uno dei frutti dello Spirito (Gal 5,22) e Paolo la chiede insistentemente ai cristiani: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini” (Fil 4,4-5).
Peraltro la gioia del sacerdote è di fondamentale importanza per la scelta vocazionale dei giovani. Un sacerdote che vive una vita gioiosa, bella, realizzata, perché è innamorato del Signore e della Chiesa, è contento del suo ministero, rappresenta lo “spot” più efficace per favorire nei giovani una scelta di totale consacrazione a Dio e ai fratelli. La pastorale vocazionale, di cui sempre ma soprattutto nel nostro tempo c’è vitale bisogno, non si può fare con un volto triste e rassegnato.

3. E’ dunque un dovere per noi recuperare la gioia. Ma in che modo?
Anzitutto coltivando il rapporto vivo di fede con il Signore, rapporto che si sviluppa con la preghiera personale e liturgica. L’eucaristia e la Liturgia delle Ore sono certamente i pilastri della preghiera del prete, come pure l’espressione più alta della sua identità e del suo ministero nella chiesa. Bisogna evitare il pericolo che questi pilastri, se non accompagnati dalla preghiera personale, diventino qualcosa di routine, funzionale, freddo adempimento di doveri “professionali”. La preghiera personale, in particolare la sosta amante e prolungata davanti al tabernacolo, deve occupare il primo posto nella vita del sacerdote, altrimenti il rischio è quello di “fare il prete senza più essere il prete”, perché si spegne il fuoco che genera la fede e la carità pastorale.
In secondo luogo, per recuperare la gioia, vorrei richiamare l’esigenza della fraternità sacerdotale. Non avendo noi la vocazione eremitica, non è nella solitudine e nell’isolamento che possiamo giungere alla pienezza della vita, ma nella comunione. Sappiamo bene che la prima comunione che ci lega è quella con i fratelli preti, perché è una comunione sacramentale, fondandosi sulla comune partecipazione al sacramento dell’Ordine sacro. Lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto nell’Ordinazione non è un ruolo, una funzione, un compito: è l’amore che ci unisce indissolubilmente alla Trinità e tra di noi. Se nel ministero sacerdotale ci facciamo prendere talmente dalle attività o dalle preoccupazioni per cui non si ha più tempo o voglia di stare con i confratelli, di partecipare alle riunioni, di camminare insieme con il presbiterio e in unione con il Vescovo, si rischia, ancora una volta, di “fare il prete senza essere il prete”. Infatti, l’identità del prete non è tanto nel fare, quanto nell’essere intimamente legato al Signore e intimamente legato ai confratelli.
Con i confratelli è importante coltivare un rapporto di amicizia, che sia fatto di confidenza e di ascolto, di sincerità e di aiuto reciproco. In questo dobbiamo tutti essere pronti a fare il primo passo: non possiamo aspettare che siano sempre gli altri a venirci a incontrare, a prendere l’iniziativa; decidiamo anche noi di muovere i primi passi.

4. Per favorire il ricordo reciproco e la comunione tra i sacerdoti diocesani e religiosi, desidero oggi offrirvi nella busta che vi viene consegnata, un piccolo, umile strumento: è un calendario che contiene la data dei compleanni e degli anniversari di Ordinazione. Lo si potrà mettere nel breviario perché ci si ricordi con una preghiera, e magari anche con una telefonata o una visita, del confratello che celebra la sua festa.
Nella stessa busta troverete anche la Lettera del Papa ai Sacerdoti in occasione di questo Giovedì Santo. E’ una riflessione del Pastore della Chiesa universale sul legame reciproco tra sacerdozio ed eucaristia: sono doni inestimabili, nati entrambi nel Cenacolo in quella memorabile ultima cena del Signore. Il Papa sottolinea l’importanza della pastorale vocazionale, richiamando la necessità della preghiera, come pure della testimonianza dei sacerdoti (“innamorati dell’eucaristia”) e delle famiglie cristiane: raccomanda in particolare la cura dei ministranti, che costituiscono come un “vivaio di vocazioni sacerdotali”; il loro gruppo, ben curato, può quasi formare una sorta di pre-seminario.
Infine, nel medesimo plico vi consegno una mia lettera sul programma pastorale diocesano di quest’anno: in sintonia con gli orientamenti della Chiesa italiana, vogliamo attualizzare le linee che abbiamo già proposto circa l’iniziazione cristiana, dando un volto concreto al catecumenato degli adulti. Ripristinando il catecumenato, vogliamo dare nuova vitalità alla parrocchia come struttura di base che genera alla Chiesa nuovi figli.
In questo cammino di “conversione pastorale” facciamo molto affidamento sulla collaborazione dei laici. In particolare accompagniamo con grande fiducia i candidati ai ministeri: i seminaristi e i partecipanti al Corso di formazione ai ministeri laicali. In riguardo a questi ultimi, ho oggi il piacere di affidare o rinnovare il mandato ai ministri ausiliari della Comunione: li ringrazio per la loro disponibilità e li esorto ad essere sempre più impegnati nel cammino di santità per essere degni o meno indegni del dono che ricevono.
Mentre celebriamo il giorno santissimo, in cui il Signore ha celebrato la Pasqua con i suoi, donandoci il suo corpo e il suo sangue insieme con il sacerdozio, auguro di cuore a voi tutti, confratelli e fedeli laici, la sua grazia e la sua pace, per intercessione di Maria Santissima che 150 anni fa il Beato Pio IX proclamò Immacolata.