Anche se possiamo, a differenza dello scorso anno, condividere “in presenza” la celebrazione della Domenica delle palme e della passione del Signore, non riusciamo a vivere questa celebrazione e le successive della Settimana Santa prescindendo dalla situazione di permanenza della pandemia. Non solo perché sollecitati a rispettare le misure preventive, ma anche e soprattutto, perché le sofferenze, le incertezze e le paure provocate da questa situazione, potrebbero impedirci di riconoscere nella Pasqua di Gesù l’offerta della “speranza che non delude” le nostra speranze, anzi le sostiene e le incoraggia.
L’invito che proviene dalla liturgia di questa Domenica indica come vivere la Settimana santa: «Seguiamo il Signore… con fede e devozione, affinché resi partecipi per grazia del mistero della croce, possiamo aver parte alla risurrezione e alla vita eterna».
Vorrei richiamare l’attenzione su alcune persone che nel racconto della passione di Gesù dell’evangelista Marco (14,1-15,47), pur svolgendo un ruolo, che nel linguaggio cinematografico, definiremmo di “attori non protagonisti” ci indicano con il loro comportamento come stare con Gesù, come seguirlo nel suo percorso pasquale in condizioni difficili, cariche di tensioni, com’è la situazione che stiamo vivendo ormai da molti mesi.
La prima persona è un donna anonima che entra in azione all’inizio del racconto (cfr Mc 14,3-9). Il suo gesto improvviso e azzardato verso Gesù («Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo»), è compiuto in una situazione di dichiarata ostilità dei capi dei sacerdoti e degli scribi nei confronti di Gesù («Cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire») e nei suoi confronti («Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono»).
Le parole di Gesù in difesa della donna («Lasciatela stare; perché la infastidite?») consentono di comprendere la portata del suo gesto. Ad alcuni presenti in quella casa, “infuriati contro di lei”, perché ritengono il gesto della donna uno spreco, a danno dei poveri («perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!»), Gesù comunica di apprezzare il gesto come “un’azione buona verso di lui”, senza dimenticare l’attenzione ai poveri («I poveri infatti li avete sempre con voi e potete fare loro del bene quando volete», perché «ella ha unto il suo corpo per la sepoltura».
Il profumo di quella donna sarà l’unico profumo con cui il cadavere di Gesù potrà essere unto. Non lo potrà fare Giuseppe d’Arimatea che, in fretta «lo depone dalla croce, lo avvolge in un lenzuolo e lo mette in un sepolcro scavato nella roccia», perché «era la vigilia del sabato» (cfr Mc 15,42-46).
Non lo potranno fare nemmeno le donne, che, «trascorso il sabato, comprano oli aromatici, per andare a ungerlo», perché trovano il sepolcro vuoto (cfr Mc 16,1-4).
Gesù conclude la difesa della donna con un’affermazione solenne e sorprendente («In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà quello che ha fatto»). Come a dire che della bella notizia di Gesù risorto (il vangelo) farà parte anche il gesto di questa donna senza nome (“in ricordo di lei”) che ha fatto “quello che poteva”, l’“azione buona” dettata da un amore verso Gesù che non fa calcoli, che si esprime con gesti affettuosi e che non si lascia intimorire da situazioni non proprio favorevoli.
Il secondo “attore non protagonista” è Simone di Cirene (cfr Mc 15,21). Di quest’uomo l’evangelista Marco, oltre al nome, segnala che è “padre di Alessandro e Rufo”, che “veniva dalla campagna” (forse tornava dal lavoro), che incontra (“passava”) il corteo dei condannati a morte e che “è costretto a portare la croce di Gesù”, probabilmente sfinito dalle percosse della flagellazione. Lo stesso Gesù aveva indicato proprio nel “portare la croce” la condizione a chi voleva seguirlo. Ora Simone di Cirene non decide, non prende lui l’iniziativa di portare la croce, di stare con Gesù, vicino a lui, ma vi è costretto.
Quanto è accaduto a quest’uomo che “veniva dalla campagna” ci ricorda che, anche se siamo noi a decidere di seguire Gesù, può accadere, e accade spesso, che le modalità della sequela vengono indicate, se non addirittura “imposte”, da circostanze avverse, non scelte da noi. Dipende da noi, però, la disponibilità o meno a “portare la croce”, la decisione di non allontanarci dal Signore, di stare con lui, anche in queste situazioni.
La terza persona è il centurione che “si trovava di fronte” a Gesù nel momento della sua morte (cfr Mc 15,39). L’evangelista Marco non ci informa semplicemente che il soldato romano vede morire Gesù, ma nota come muore Gesù («vistolo spirare in quel modo»). Appena prima Marco aveva raccontato che Gesù «gridò a gran voce» le parole di un salmo: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» e che
«dando un forte grido, spirò».
Questo soldato pagano pronuncia la più alta professione di fede di un discepolo di Gesù: «Davvero quest’uomo (che ho di fronte a me, appena morto urlando, appeso a una croce, come succedeva a tanti malfattori, tanti rivoltosi e tanti schiavi) era il Figlio di Dio».
Il centurione romano c’insegna l’atteggiamento della fede autentica che non impone a Dio le modalità della sua rivelazione, che sa riconoscere la sua presenza e la sua azione anche nelle situazioni, come la morte, che nell’opinione corrente, anche di tanti credenti, la ritengono impossibile.
All’inizio di questa celebrazione siamo stati invitati a “seguire il Signore”, a “partecipare al mistero della croce, a rimanere uniti a lui”. La richiesta non va riferita solo alle celebrazioni della Settimana santa, ma alla vita quotidiana. Lasciamoci prendere per mano da questa donna senza nome, ma mossa da un amore per Gesù che non gioca al risparmio e coraggioso, da Simone di Cirene, costretto da altri a stare vicino a Gesù e dal centurione pagano, che riconosce il volto di Dio in una circostanza che a molti, discepoli compresi, diceva tutt’altro.
Lasciamoci guidare da questi “attori non protagonisti” della Pasqua di Gesù, perché scopriamo anche in questo tempo di passione prolungata, che il Signore è veramente risorto, decidiamo di camminare con lui, di onorarlo con il nostro amore e di portare, perché anche in questo tempo in cui ci sono “imposte”
tante croci «manteniamo senza vacillare la professione delle nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso» (Eb 10,23).