I testi della parola di Dio appena proclamati consentono, anzitutto a Matteo e a Mirco, ma anche a ciascuno di noi, presenti questa sera alla loro ordinazione sacerdotale, di apprezzare la portata del dono che Gesù risorto fa’ ai nostri due diaconi e alla Chiesa di Senigallia.
Nei progetti di Amos (cfr prima lettura, Am 7,12-15) non c’era quello di fare il profeta. Amos aveva già scelto la professione da svolgere nella vita: il mandriano e il contadino (“ero mandriano e coltivavo piante di sicomoro”). La sua vita è cambiata quando il Signore “lo chiamò mentre seguiva il gregge” e gli affidò il compito di fare il profeta (“profetizza al mio popolo d’ Israele”).
Anche Matteo e Mirco non avevano messo in conto di “fare il prete”, avevano intrapreso una precisa professione. E anche la loro la vita è cambiata quando il Signore li ha chiamati, non a un’altra professione, ma alla sua sequela, per un compito, che non è riducibile a una professione, perché chiede l’ingaggio dell’intera esistenza, come lo è stato per Gesù stesso. E Gesù ha chiesto a Matteo e a Mirco di condividere con lui il mandato ricevuto dal Padre, quello, come scrive l’apostolo Paolo nello splendido testo della lettera ai cristiani di Efeso, proclamato nella seconda lettura, (Ef 1,3-14), di “far conoscere il disegno d’amore della sua volontà: ricondurre a Cristo unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra”.
L’ideatore di questo disegno è lo stesso Dio Padre, un disegno che prevede che ogni persona che viene al mondo sia amata, apprezzata da Lui, come lo è Gesù, il “Figlio amato”.
L’attuatore di questo disegno è Gesù stesso, il quale mette in gioco la propria vita (“mediante il suo sangue”), perché il desiderio del Padre si compia e noi non opponiamo alcun ostacolo.
Il vangelo di Marco, appena proclamato (Mc 6,7-13), consente di comprendere la portata del compito che Gesù affida a Matteo e Mirco, lo stesso compito che lui ha ricevuto dal Padre e che, un giorno, ha affidato ai Dodici.
L’evangelista Marco scrive che Gesù «chiamò a sé i Dodici a prese a mandarli a due a due». Nella recente Lettera ai sacerdoti della nostra Diocesi annotavo che «il significato di questa condivisione della missione (“a due a due”) non va cercato tanto in una maggiore efficacia (insieme si vince), quanto piuttosto nel forte impatto testimoniale di quella umanità nuova realizzata da Gesù (come scrive Paolo in Ef 2,14: Gesù è «colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia…») e come segno che accredita i suoi discepoli («Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri», Gv 13,35). Gesù manda i discepoli “a due a due” come segno di comunione, germe del Regno di Dio». I discepoli vanno “a due a due” perché possono annunciare il vangelo del Regno solo come fratelli che camminano insieme.
E ricordavo le parole chiare e forti del papa S. Giovanni Paolo II, nella Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, 17: «Il ministero ordinato ha una radicale “forma comunitaria” e può essere assolto solo come “un’opera collettiva”».
L’ordinazione dice che la “forma comunitaria” del ministero che questa sera viene affidato a Matteo e Mirco trova nel presbiterio diocesano un’espressione compiuta e feconda. Quello diocesano è un presbiterio, dove l’unità non significa uniformità, ma indica “un’anima sola e un cuore solo”, dove i diversi doni hanno la grande funzione di esprimere la comunione fraterna e la condivisione del servizio pastorale, non di coltivare percorsi autonomi.
Dice anche che voi non diventate semplicemente preti, ma preti a servizio di una Chiesa diocesana, della nostra Chiesa di Senigallia e che l’essere preti in questa e per questa Chiesa particolare rappresenta una condizione pienamente adeguata per vivere la vostra sequela di Gesù.
Spero che possiate sperimentare nel nostro presbiterio la bellezza della fraternità, la bellezza, pur nel paziente impegno che ogni relazione richiede, «dell’essere preti insieme, del seguire il Signore non da soli, non uno a uno, ma insieme, pur nella grande varietà dei doni e delle personalità; anzi, proprio questo arricchisce il presbiterio, questa varietà di provenienze, di età, di talenti… e tutto vissuto nella comunione, nella fraternità» (papa Francesco).
Tra le disposizioni che Gesù ha dato ai Dodici prima di inviarli in missione, vorrei segnalarne una che ritengo particolarmente preziosa per il vostro ministero, soprattutto di questi tempi: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi…». La casa cui fa riferimento Gesù, penso, non sia solo l’edificio in muratura, ma anche la vita delle persone, con quanto vi si trova, di positivo, di negativo, di problematico, di facilmente riconducibile al ministero del prete, ma anche di distante, se non addirittura di chiusura e, a volte, di ostile, nei confronti del Signore, della sua parola, del vostro desiderio di offrire il vangelo di Gesù, di essere testimoni e collaboratori dell’amore di Dio.
Gesù non ha invitato i Dodici a selezionare le case adatte, quelle ospitali, dove la parola del suo vangelo e l’offerta del suo amore avrebbe trovato facile ascolto e generosa accoglienza, dove il loro servizio sarebbe stato apprezzato. Anzi ha parlato di una possibile non accoglienza e di rifiuto (“Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero…”).
Gesù parla di “dovunque”, di ogni casa, di ogni esistenza, di ogni persona che incontrerete nel ministero, che verrà a cercarvi, anche per ragioni che potrebbero apparire distanti, estranee al ministero.
Non operate selezioni affrettate, non decidete la disponibilità sulla base delle vostre attese, dei vostri desideri, pur legittimi; rimanete aperti, in ascolto, disponibili anche quando potrebbe sembrarvi una perdita di tempo, perché ritenete di non essere diventati preti per offrire certi aiuti, per dare ascolto a certe richieste, per aiutare a trovare soluzioni a certi problemi.
Non voglio dire che dovete risolvere sempre e tutti i problemi della gente, ma invitarvi a coltivare, come stile del vostro ministero, quello di un ascolto ospitale, come era lo stile di Gesù e come vi ha ricordato papa Francesco, nel recente incontro con il nostro Seminario regionale: «Il mondo è assetato di sacerdoti in grado di comunicare la bontà del Signore a chi ha sperimentato il peccato e il fallimento, di preti esperti in umanità, di pastori disposti a condividere le gioie e le fatiche dei fratelli, di uomini che si lasciano segnare dal grido di chi soffre».
Carissimi Matteo e Mirco la Chiesa di Senigallia vi accoglie con gioia e fiducia, chiede al Signore che porti a compimento quanto ha iniziato in voi; chiede a Maria, la madre di Gesù e nostra, che anche voi, come ha fatto lei con la cugina Elisabetta, “andiate in fretta” (cfr Lc 1,39) nelle case, nella vita, delle persone e che siate attenti, come lo è stata lei a Cana di Galilea, durante un banchetto di nozze (cfr Gv 2,1-11), nel rilevare il venir meno del vino della speranza, dell’amore, nella vita delle persone e nell’incoraggiarle ad ascoltare con fiducia Gesù («Qualsiasi cosa vi dica, fatela»).