La richiesta, nella preghiera della Colletta, al “Padre onnipotente ed eterno”: «concedi ai tuoi figli, rinati dall’acqua e dallo Spirito, di vivere sempre nel tuo amore». I promotori ella richiesta siamo noi che ci riconosciamo, non solo figli di Dio, ma anche “rinati dall’acqua e dallo Spirito”.
Il riferimento è al nostro Battesimo, che ha propiziato la nostra “ri-nascita”, una nuova nascita, non perché ha ripetuto la prima, quella che ci ha consentito di venire al mondo, ma perché ha creato le condizioni che ci consentono di apprezzare la nostra nascita al mondo e di viverla come un dono prezioso. E le condizioni sono date proprio dal fatto che noi per Dio non siamo semplicemente delle creature, che, come ogni altra creatura, nascono, vivono e puoi muoiono, ma siamo “figli” amati.
Il riconoscimento di questo amore come il bene prezioso che ci viene offerto quando veniamo al mondo e che sottrae la nostra esistenza alla presa mortale del male, ci ha spinto a chiedere al “Padre onnipotente ed eterno” di “vivere sempre nel suo amore”, cioè di vivere dando credito al suo amore.
Il “Padre onnipotente ed eterno” risponde alla nostra richiesta con la sua parola, che, come Lui stesso segnala nel testo del profeta Isaia, proclamato nella prima lettura (Is 55,1-11), si comporta come la pioggia e la neve quando impattano la terra («Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata…così sarà la mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver operato ciò per cui l’ho mandata»).
La parola di cui il profeta Isaia si fa portavoce è la parola di un Dio che è impaziente, che desidera offrirci quanto serve per vivere, le “cose buone” che garantiscono l’esistenza e che nel testo di Isaia sono identificate simbolicamente negli alimenti della vita quotidiane (vino, latte e pane).
Per Dio ciò che garantisce la nostra vita è l’alleanza con Lui, da Lui offerta a noi gratuitamente (“senza pagare, assicura Dio stesso). Per questo ci sollecita a prendere in seria considerazione la sua offerta («Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete»), a non cercare un cibo che non sazia («Perché spendere denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?»), ad abbandonare le strade e i pensieri che ci portano lontano da Lui e gli impediscono di offrire il dono.
Nel vangelo (Mc 1,7-11) il racconto dell’evangelista Marco riguardo a quanto è successo dopo il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, consente di dare un’identità precisa, un volto alla parola di Dio, “uscita dalla sua bocca”, per dare fecondità, prosperità alla nostra esistenza: Gesù di Nazareth, al quale il Padre (“una voce dal cielo”) si rivolge direttamente con parole chiarificatrici della sua identità («Tu sei il Figlio mio, l’amato») e della piena fiducia che ha in lui per il gesto che ha compiuto (il battesimo nel Giordano per mano di Giovanni, gesto di condivisione con le persone che si recavano Giovanni e «si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati», Mt 3,6) e per quanto compirà nella sua vita («in te ho posto il mio compiacimento»).
Le parole che il Padre – la “voce dal cielo” – rivolge a Gesù consentono di riconoscere proprio in Gesù, il Figlio amato, quell’alleanza di cui Dio parla nel testo del profeta Isaia: è Gesù la “cosa buona” che garantisce, fa guadagnare la vita.
L’apostolo Giovanni nella sua prima lettera, proposta dalla seconda lettura (1Gv 5,1-9) ci sollecita a dare credito alla testimonianza offerta da Dio a favore di Gesù, al fiume Giordano, dopo il suo battesimo, una testimonianza che gode di maggior credibilità di tante nostre testimonianza e promesse.
Dare credito alla testimonianza di Dio Padre ci porta a dare credito a Gesù, a riconoscerlo come il Figlio, al quale il Padre affida il mandato di riscattare la nostra esistenza dal male che la avvilisce e la spegne.
Giovanni ci avverte che la fede in Gesù, Figlio di Dio, non è il rifugio di coloro che non sono in grado di fronteggiare le aggressioni del male, la consolazione dei vinti; ci assicura che proprio grazie alla fede in Gesù non siamo in grado di fronteggiare con successo e di sconfiggere quel “mondo” che troviamo attorno a noi, ma anche in noi e che tenta in ogni modo di allontanarci da Gesù, il Figlio amato, del quale il Padre si compiace e di impedire al Padre di compiere il suo desiderio di alleanza con noi, che lo ha spinto a rivolgerci la parola – il Figlio amato – perché compia ciò che Lui desidera da sempre.