Il battesimo al Giordano è il primo gesto dell’attività pubblica di Gesù. L’evangelista Luca c’informa che Gesù quando inizia il suo ministero ha circa 30 anni (3,23). Questi 30 anni Gesù li trascorre a Nazareth, in casa, facendo probabilmente il mestiere di Giuseppe, il falegname. I vangeli ci dicono quasi nulla di questo periodo.
Che significato ha il gesto di Gesù? Non è un gesto di immediata comprensione per chi, come Giovanni Battista sapeva di Gesù e del suo compito. Gesù, che aveva ricevuto il mandato da parte di Dio di “battezzare in Spirito Santo e fuoco”, si mette in fila con le persone che chiedono a Giovanni “il battesimo di conversione per il perdono dei peccati”. Sarà la voce dal cielo (il Padre) e lo Spirito Santo che scende su Gesù a dirci che quell’uomo, che ha appena ricevuto il battesimo di conversione, non è uno dei tanti peccatori pentiti, ma addirittura il Figlio dell’Altissimo, nel quale Dio si riconosce, si rispecchia e del quale dice di essere contento, orgoglioso.
Questo episodio illumina i due testi biblici precedenti. Gesù è il servo di cui parla il profeta Isaia, che Dio sostiene, l’eletto in cui si compiace, sul quale ha posto il suo spirito e che ha posto come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché ridia speranza a quanti l’hanno perduta, come i ciechi e i prigionieri.
E’ lui quel Gesù di Nazareth di cui Pietro parla nel testo degli Atti degli apostoli, che attraversa la Palestina, dalla Galilea alla Giudea, togliendo al diavolo ogni potere, perché Dio è con lui.
Il Battesimo di Gesù cosa dice a noi? Le orazioni che introducono e chiudono la celebrazione eucaristica non ci lasciano estranei di fronte al battesimo di Gesù. Nella Colletta abbiamo chiesto al Padre di Gesù di “essere rinnovati interiormente, a immagine di Gesù stesso”; prima di concludere la celebrazione chiederemo, come suo frutto, di “ascoltare come discepoli Gesù per chiamarci e essere realmente anche noi figli”, nei quali Dio Padre si riconosce.
Il battesimo di Gesù ci richiama alla nostra identità di figli di Dio e al compito che questa identità ci assegna: non essere figli solo perché iscritti nel registro parrocchiale dei battesimi, ma perché il nostro cuore – quindi noi stessi, la nostra persona nel suo sentire profondo e in tutte le sue espressioni – si lascia plasmare sempre di nuovo (“rinnovare”) da questo regalo (grazia) che ci è stato fatto nei primi giorni della nostra vita, come Gesù si è lasciato plasmare il cuore e guidare nelle decisioni della sua libertà.
Potrebbe essere questo il percorso del nostro cammino di discepoli di Gesù, per l’anno che ci sta di fronte: ascoltare Lui il Figlio, riconosciuto e apprezzato come tale dal Padre. Un ascolto che rinnova il cuore e guida il nostro cammino.