«O Dio… rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio… fa che portiamo l’immagine dell’uomo celeste». Come si presenta a noi in questo venerdi santo il Figlio di Dio, quale immagine offre di sé?
La figura del Figlio di Dio è ben descritta da alcuni passaggi del testo del profeta Isaia, proclamato nella prima Lettura: «tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo. Non ha forma né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere… come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima (Is 52,14; 53,2-3).
Il profeta ci dice che il Figlio di Dio appare “sfigurato”, inguardabile, perché «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53,4-5).
Sono parole dure quelle del profeta Isaia, parole che ci devono far pensare: i nostri peccati, le iniquità commesse dagli uomini, “sfigurano”, deturpano l’immagine del Figlio di Dio di fronte a noi, “sfigurano”, deturpano noi, pensati e destinati da Dio “a essere conformi all‘immagine del Figlio suo” (cfr Rm 8,29).
Sono parole dure, ma anche salutari, perché ci consentono di ricuperare la consapevolezza di quali danni provoca il male quando gli permettiamo di entrare nella nostra vita e, in qualche modo, ne diventiamo complici. Salutari anche perché ci consentono di comprendere e apprezzare la paradossale, se non addirittura scandalosa, morte in croce di Gesù: lui che, come fa notare l’autore della Lettera agli Ebrei, «ha preso parte alle nostre debolezze, che è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (4,15), non sale da solo sul legno della croce, ma «portando i nostri peccati nel suo corpo» (cfr 1Pt 3,24), addirittura, «lui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui (grazie a lui) potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
Questo è il Figlio di Dio “crocifisso”, che non dovremmo mai dimenticare quando guardiamo il crocifisso, quello che portiamo al collo con una catenina di metallo prezioso, quello che osserviamo quando entriamo in una chiesa e quello che troviamo lungo le strade.
L’autore della Lettera agli Ebrei ci ha invitato, nella seconda Lettura, ad «accostarci con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia» (4,16). Il “trono della grazia”, da cui riceviamo misericordia, oggi è la croce di Gesù.
Nella celebrazione, noi celebranti qui in Cattedrale, voi nelle vostre case, ci accosteremo al Crocifisso, come il piccolo gruppo di cui ci ha parlato Giovanni nel suo racconto della passione, un gruppo composto dalla Madre di Gesù, da alcune donne e dal discepolo amato (cfr Gv 19,25ss).
Ci accosteremo portando il dolore e le paure di questi giorni, il dolore e le paure di chi sta patendo la malattia contagiosa, il dolore di chi ha perso persone care, il dolore degli operatori sanitari, dei volontari, che non sono riusciti, nonostante il loro generoso impegno, a strappare alla morte le persone di cui si erano presi cura, le nostre tante paure. Ci accosteremo portando al Signore crocifisso anche la nostra gratitudine per il suo amore che non è venuto meno, neppure di fronte alle nostre chiusure, alle nostre resistenze.
Non ci accosteremo soltanto la Crocifisso, potremo anche fargli una carezza e dargli un bacio, quella carezza e quel bacio che in questi giorni non possiamo scambiarci con libertà.
Gesù nella sua vita ha ricevuto un bacio da due persone, meno indicate per questo gesto affettuoso: da una donna nota in città come “peccatrice”, la quale sfidando il giudizio sferzante del fariseo Simone, che aveva invitato Gesù nella propria casa, come scrive l’evangelista Luca, «saputo che (Gesù) si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo, stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo» (7,36-39).
L’altra persona che dà un bacio a Gesù è un apostolo che Gesù stesso aveva scelto, un amico, Giuda, un bacio che avrebbe segnalato Gesù a chi doveva arrestarlo (cfr Mt 26,47-50).
In entrambe le situazioni Gesù non rifiuta il bacio, anzi prende le difese della donna “peccatrice”, apprezzandone il gesto (cfr Lc 7,44-48); a Giuda si rivolge chiamandolo ancora “amico” (cfr Mt 26,50).
L’atteggiamento di Gesù c’incoraggia a non sottrarci a questo gesto affettuoso nei suoi confronti, anche se pensiamo di non essere all’altezza del suo significato, della sua portata, per i nostri peccati, per i nostri tradimenti.
Per questo vi invito a manifestare con una carezza, con un bacio al crocifisso, l’affetto e la riconoscenza per Gesù, il Figlio di Dio, che “ci ha amato e ha consegnato se stesso per noi” (cfr Gal 2,20). E non abbiamo paura a ripeterlo spesso questo gesto, ad aiutare i nostri figli a compierlo.
La celebrazione si concluderà nel silenzio, un silenzio celebrativo che si estenderà per l’intera giornata di sabato e che sarà interrotto nella notte di sabato con la Veglia pasquale.
Il nostro silenzio è diverso da quello vissuto dagli amici di Gesù, i suoi discepoli, le donne che lo seguivano. Il loro era il silenzio di chi aveva perso una persona a cui avevano affidato le proprie speranze. E’ anche il silenzio che in questi giorni stanno tanti di noi patiscono per la perdita delle persone care.
Il nostro è un silenzio che attende d’incontrare Colui che la morte non è riuscita a trattenerlo nelle proprie mani e che, come rappresentano bene le icone orientali, strappa gli uomini alla morte.
Quest’anno l’attesa d’incontrare il Risorto si fa ancora più intensa perché abbiamo ancora più bisogno di ricuperare la speranza nella vita, di confermare la fede in Dio che ci è Padre e di ridare slancio, fiducia e solidarietà alle nostre relazioni.