Cena del Signore (9 aprile 2020)

Gli evangelisti Luca e Giovanni nei loro racconti ci offrono la chiave di lettura di quanto è accaduto a Gerusalemme, in “una sala grande arredata, al piano superiore di una casa”, durante una cena della Pasqua ebraica, quella sera, l’ultima che Gesù trascorreva con i suoi discepoli.

Luca lascia parlare Gesù, il quale, “dopo aver preso posto a tavola con gli apostoli”, comunica loro che: «Ho tanto desiderato mangiare questa pasqua con voi, prima della mia passione» (22,14); Giovanni annota che «prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (13,1).

La segnalazione di Giovanni consente di comprendere che l’intenso desiderio di Gesù  di cui parla Luca («Ho tanto desiderato») è quello di “amare i suoi amici – così chiamerà gli apostoli nel corso della cena – fino alla fine”, cioè fino a quel punto dove non è più possibile andare oltre, perché quanto c’era da offrire è stato offerto. I racconti evangelici ci diranno che quel punto sarà la morte violenta su una croce, il giorno dopo.

Quello che succede nella “sala grande e arredata, al piano superiore” (cfr Lc 22,12) di quella casa, con i gesti di Gesù, anticipa la sua morte (cfr il pane spezzato e il calice del vino, offerti ai discepoli), dice la portata della sua morte (“per voi e per molti, per il perdono dei peccati”) e ne svela il senso (cfr il gesto della lavanda dei piedi, imposto agli schiavi, come la morte in croce, supplizio riservato agli schiavi, imposta a Gesù, Maestro e Signore).

Gesù consegna entrambi i gesti ai discepoli. Con la consegna del primo gesto («Fate questo in memoria di me») Gesù manifesta il desiderio che l’offerta della sua vita, non resti solo una notizia nei racconti degli storici, ma che continui a esprimere il suo amore, a realizzare il suo desiderio di amare i discepoli che sarebbero venuti dopo quelli presenti alla cena e, attraverso loro, anche tutti gli uomini e donne che avrebbero abitato la terra. Con la consegna del secondo gesto («Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto», Gv 13,15) Gesù invita i suoi discepoli ad abbandonare la prevaricazione, l’esclusiva attenzione a se stessi, al proprio tornaconto, per costruire relazioni solidali, capaci di provvedere al bene dell’altro, relazioni di servizio.

Questa sera «Dio ci ha riuniti per celebrare la santa Cena» (queste sono le parole che ho rivolto a Dio Padre nella preghiera della Colletta). Si tratta di un riunirsi inedito nella forma, perché non siamo riuniti insieme in una chiesa, ma stando nelle nostre case. In tante di queste probabilmente non c’è “una sala grande e arredata”, come la sala che ospitava Gesù con i suoi discepoli.

Anche se voi, radunati nelle vostre case, questa sera non potrete onorare l’invito di Gesù a “mangiare” il suo corpo dato per noi, anche se nelle nostre chiese non si ripeterà il gesto, che suscita sempre un’intensa emozione, della lavanda dei piedi, il Signore comunica anche a noi suoi amici che “ha desiderato tanto mangiare la sua Pasqua con noi”, perché non ci dimentichiamo che lui ci ha amato “fino alla fine” e continua ad amarci.

E noi sappiamo che il desiderio di Gesù, che il suo amore per noi, non sono rimasti confinati in quella sala, non si sono esauriti in quella sera e non ne hanno beneficiato solo le persone presenti a quella cena, ma che da allora abitano, fino a che egli verrà di nuovo, la storia degli uomini, che raggiungono tutte le case dove gli uomini e le donne trascorrono la loro esistenza.

Grazie, Signore, perché anche quest’anno ci assicuri che il tuo desiderio di amarci “fino alla fine” non viene meno, nemmeno di fronte alle nostre chiusure, alle nostre paure e alle nostre grettezze. Aiutaci a trattarci con lo stesso amore, con lo stessa premura con cui tu tratti ciascuno di noi.

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