Cena del Signore (Giovedì Santo 14 aprile 2022)

Quello che è successo quell’ultima sera trascorsa da Gesù con i suoi discepoli, prima della sua morte, nella sala che lui aveva fatto preparare, per fare la Pasqua con loro, riguarda anche noi suoi discepoli, soprattutto in riferimento al tempo che stiamo vivendo.

Gesù, che aveva voluto fortemente quella cena («Ho ardentemente desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione», Lc 23,14), mentre era a tavola aveva manifestato pubblicamente il suo turbamento nel dare la notizia dell’imminente tradimento di Giuda, uno dei discepoli scelti proprio da lui («Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: “In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”», Gv 13,21), un turbamento alimentato probabilmente anche dal comportamento dei suoi discepoli, interessati al altro («E nacque tra loro anche una discussione, chi di loro fosse da considerare più grande», Lc 22,24») e dalla presuntuosa sicurezza di Pietro («Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò», Mc 14,31a), mostrata anche dagli altri discepoli («Lo stesso dicevano pure tutti gli altri», Mc 14,31b).

Gesù risponde al desolante atteggiamento dei suoi amici compiendo due gesti con i quali conferma che il suo intenso desiderio di condividere la Pasqua con loro, di averli ancora come suoi amici, di prendersi cura di loro, non è venuto meno.

Con l’invito a mangiare quel pane spezzato e a bere da quel calice colmo di vino («Questo è il mio corpo, che è dato per voi… Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi», Lc 22,19),  Gesù dice il senso della sua morte ormai vicina, che altri gli avrebbero procurato con violenza, una morte che attestava il suo amore per loro, suoi amici («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici», Gv 15,13). Dai vangeli sappiamo che Gesù ha offerto la propria vita non solo per gli amici presenti in quella stanza, quella sera, ma anche per quelli, che grazie alla loro testimonianza avrebbero creduto in lui e anche per tutti gli uomini.

L’apostolo Paolo nel testo della prima lettera ai cristiani di Corinto, proclamato come seconda lettura (1Cor 11,23-26), conferma la destinazione del gesto di Gesù. Con il racconto di quanto compiuto da Gesù,  ci trasmette anche la sua consegna (“fate questo in memoria di me”) e ci ricorda che «ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice (l’Eucaristia che i discepoli di Gesù celebrano), voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».

Con la lavanda dei piedi (Gv 13,1-15), gesto affidato esclusivamente ai servi, Gesù, il Signore, si mette a servizio dei suoi amici e indica come dovranno trattarsi tra loro («Capite quello che ho fatto per voi? Voi, mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque, io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi»). E di fronte allo stupore di Pietro («Signore, tu lavi i piedi a me?») e al suo rifiuto («Tu non mi laverai i piedi in eterno!»), Gesù insiste, perché non vuole perdere l’amico («Se non ti laverò, non avrai parte con me»).

La preghiera della Colletta ci ricorda perché siamo qui, al tramonto di questo giovedi, diverso dagli altri giovedi: per celebrare la Cena, nella quale l’unico Figlio di Dio, Gesù, prima di consegnarsi alla morte, ha affidato alla Chiesa (ai suoi amici, quelli presenti in quella sala e a quelli futuri, anche a noi quindi) l’offerta della propria vita, che per il modo con cui lui l’ha vissuta si presenta come un banchetto di nozze (“convito nuziale del suo amore”).

In questo giovedi, oltre che fare memoria dell’offerta che Gesù ha fatto di sé quella sera, il vescovo, ripeterà il gesto della lavanda dei piedi. La ripetizione di quel gesto dice la nostra disponibilità ad assumere lo stile di Gesù, lo stile del servizio. Per questo abbiamo chiesto a Dio che dalla partecipazione a questo amore di Gesù, più forte di ogni turbamento e di ogni chiusura con cui ha dovuto confrontarsi (tanto da risultare un “grande mistero”), possiamo “attingere pienezza di carità e di vita”, non solo per noi, ma anche, per le persone che condividono con noi questi giorni che provocano grande turbamento, perché incomprensioni, prevaricazioni, chiusure a ogni ascolto, stanno avvelenando le relazioni non solo tra le nazioni in conflitto tra loro, ma anche quelle che viviamo tra noi.