Cena del Signore (Giovedì Santo 24 marzo 2016)

Perché questa pomeriggio siamo qui? Per assistere a un gesto suggestivo come può essere la lavanda dei piedi di alcune persone? Sarebbe troppo poco. Siamo qui per due motivi: perché qualcuno ci ha invitato e perché portati dal nostro desiderio di “pienezza di carità (amore) e di vita” (questo abbiamo segnalato a Dio Padre nella preghiera, all’inizio della celebrazione).

A invitarci è Gesù stesso, perché ha un regalo, una consegna da farci. Questo regalo Gesù ce lo offre con due gesti, di cui noi faremo memoria. Uno di questi ci è abituale, perché appartiene a tutte le Messe che celebriamo dove Gesù ci sollecita: “prendete e mangiate, questo è il mio corpo dato per voi”. E’ Lui stesso che continua a offrire la propria vita per noi.

Il gesto di Gesù giunge fino a noi, a distanza di più di due mila anni, perché Lui lo ha affidato agli apostoli (“fate questo in memoria di me”) e perché da allora non è stato più abbandonato, ma trasmesso dalla fede della Chiesa, con la consapevolezza che, come scrive l’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto (cfr. la seconda Lettura della celebrazione, 1Cor 1,23-26), ogni volta che lo ripetiamo cioè “mangiamo questo pane e beviamo al calice”, noi “annunciamo la morte del Signore”. E questa “ripetizione” andrà avanti “finché egli venga”, fino alla venuta definitiva del Signore. I discepoli di Gesù Risorto attendono il suo ritorno così, facendo memoria (“ripetendo”) dell’offerta che Gesù ha fatto un giorno della sua vita, per noi e per tutti gli uomini.

L’altro gesto è proposto solo nell’Eucaristia del giovedì santo: la lavanda dei piedi, in ricordo della lavanda dei piedi dei discepoli fatta da Lui.

Entrambi i gesti svelano il regalo di Gesù: il suo amore per noi, il suo desiderio di volerci bene, di prendersi cura di noi, di continuare a stare con noi per riscattare la nostra vita dal male (Gesù parla del suo sangue versato – la sua vita offerta – come “riscatto”) e per mettersi al servizio (come un servo che lava i piedi) del nostro desiderio di amore e di vita.

Noi, venendo qui, questa sera, abbiamo accettato l’invito di Gesù, soprattutto il suo regalo. Noi abbiamo bisogno di questo regalo, abbiamo bisogno di esser amati da Qualcuno che sia più forte delle nostre resistenze, delle nostre paure, delle nostre fragilità, che lasciano libero ingresso al male, che entra nella nostra vita in tanti modi, come egoismo, come violenza, risentimento, indifferenza, con la complicità delle nostre paure e delle nostre superficialità.

Gesù, questa sera ci chiede di non rifiutare il regalo del suo amore, ci chiede di prendere e di mangiare il pane del suo amore – Lui che dona la vita per noi; ci chiede, come ha chiesto a Pietro l’ultima sera di non fare resistenza al suo desiderio di “lavare i nostri piedi”, cioè di prendersi cura di noi, di servire il nostro desiderio di vita.

Allora anche noi, come Pietro, diciamo a Gesù: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!»; diciamo a Gesù di prendersi cura di noi, accettiamo che si prenda cura di noi, del nostro cuore, che come quello dei discepoli quella sera, coltiva desideri diversi dal suoi, che come quello di Giuda si lascia invadere dalle tenebre del risentimento, del rifiuto; ci lasciamo raggiungere dal suo invito a seguire il suo esempio perché impariamo ad amare come ama lui, con la misura della sua disponibilità, della sua pazienza, del suo coraggio, della sua delicatezza.

Questo perché si compia quel desiderio di “pienezza di carità e di vita” che ci ha portato qui e ha suggerito la nostra preghiera, all’inizio di questa Eucaristia.

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