Consacrazione di Manuela Medici (9 settembre 2017)

La parabola delle dieci ragazze che attendono lo sposo (cfr Mt 25,1-13) ha un contesto preciso: il discorso di Gesù sulla venuta del Figlio dell’uomo “nella sua gloria”. Il Figlio dell’uomo è lui stesso, la venuta “nella sua gloria” fa riferimento alla sua seconda venuta, quella che conclude e compie la storia degli uomini sulla terra. Per parlare di questa sua venuta Gesù ricorre a figure diverse, tra loro contrastanti, la figura del ladro che viene di notte, senza alcun preavviso, la figura del padrone che chiede conto ai servi dell’uso dei suoi beni a loro affidati, la figura, più rassicurante, dello sposo che giunge per le nozze. Tutte le figure cui fa riferimento Gesù hanno in comune il suo richiamo di a non giungere impreparati a questo incontro, a essere pronti ad accoglierlo, per prendere parte alla sua gloria, per condividere quello che Lui da sempre vive, la comunione dell’amore con Dio Padre.

Nel nostro racconto evangelico Gesù è lo sposo che viene per celebrare le nozze. L’immagine è rasserenante, perché è in sintonia con quello che da sempre, fin dall’origine del mondo, Dio desidera costruire con gli uomini, un legame d’amore forte, intenso, appagante, come è il legame d’amore di uno sposo con la propria sposa.

La parabola è costruita sul contrasto fra due gruppi di ragazze invitate a un corteo nuziale. Alcune di queste – le “sagge” – prendono con sé le lampade con una sufficiente scorta di olio e sono in grado di affrontare l’inattesa emergenza del ritardo dello sposo; le altre – le “stolte” – si fanno cogliere impreparate e restano escluse dalle nozze.

La parabola sottolinea la necessità dell’essere pronti di fronte al Signore che viene, rinunciando a disporre della sua venuta, a calcolare il suo arrivo. Proprio perché l’arrivo del Signore – lo sposo – non è calcolabile anticipatamente, bisogna attenderlo da subito, essere vigilanti nel corso della vita.

Il nostro incontro definitivo con il Signore risorto lo prepariamo conservando l’olio nelle nostre lampade. La lampada potrebbe rappresentare la nostra esistenza. Non ci si deve preoccupare solo della lampada, dell’esteriorità dell’esistenza, che ci è donata e non può essere vissuta fine a se stessa. Essere “sapienti” significa riconoscere che la lampada in sé non conta molto, ma ha senso e valore solo se è dotata di olio. Per questo non ci deve preoccupare solo della cura della lampada, ma anche (soprattutto) che questa sia dotata di olio in abbondanza.

L’olio di cui dotare la nostra lampada è l’amore, quell’amore che Dio ha “riversato nei nostri cuori” (Rom 12,5). Quest’olio non è travasabile, lo si può solo bruciare, cioè offrire totalmente la nostra esistenza, viverla nella logica dell’amore ricevuto, del dono di sé. E’ un olio inoltre che non può essere comprato, perché lo si riceve in dono e per questo va coltivato con cura; aumenta solo bruciando, come nell’orcio della vedova di Zarepta, la quale mette a disposizione del profeta Elia il poco olio rimasto che garantiva la sopravvivenza sua e del figlio (2Re 17,7-16).

Coltivare l’olio dell’amore di Dio perché non venga mai meno nella lampada della nostra esistenza, bruciarlo con un’esistenza che si consegna all’amore, al dono di sé, consente di partecipare alle nozze dell’incontro definitivo e gioioso con il Signore, di essere riconosciuti da lui, perché solo l’amore riconosce l’amore. Diversamente anche noi potremmo sentirci dire dal Signore: «non vi conosco».

Accogliere l’invito del Signore («Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora») significa dunque non solo tenere tra le mani la lampada della nostra vita, ma conservarvi l’olio dell’amore, che brucia, che fa luce attorno a noi, consentendo a noi di accogliere lo sposo che viene e allo sposo di conoscerci e di invitarci alle nozze con lui.

Questa sera Manuela accoglie l’invito del Signore alle nozze, gli va incontro, corre da lui, come raccomanda S. Caterina in una delle sue Lettere, consegnando nella sue mani la propria vita, come una sposa si consegna al proprio sposo. Si tratta di una consegna nella libertà e nella fiducia, che solo l’amore consente. Gli va incontro con la lampada della propria vita, che giorno dopo giorno ha riempito dell’amore per Lui, un amore che questa sera gli offre come esclusivo; dell’amore per la nostra chiesa di Senigallia, che Manuela ha servito nella sua comunità di Chiaravalle e alla quale questa sera conferma il proprio desiderio di proseguire in questo servizio.

Noi siamo grati al Signore e a Manuela per questa sua decisione. Per questo preghiamo con lei e per lei il Signore Gesù, lo sposo atteso gli chiediamo che nella lampada dell’esistenza di Manuela non venga mai a mancare l’olio dell’amore che attende lo Sposo, che giorno dopo giorno alimenti il desiderio di incontrarlo e di accoglierlo; chiediamo che Manuela continui a mostrare alla nostra chiesa di Senigallia e alle persone, soprattutto ai giovani, che incontrerà, la bellezza e la gioia di un amore come questo.