«Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto…non dimenticare». Quanto Mosè raccomanda al popolo d’Israele (“ricordati…non dimenticare”) è fondamentale per la vita di ogni persona e per il cammino di un popolo.
Quanto tristezza e umiliazione esprimono le parole di una persona che, per l’età avanzata o per qualche patologia che l’ha colpita, lamenta di non ricordarsi più nulla, di aver dimenticato tante cose della propria vita! E a quali rischi si espone un popolo che dimentica la propria storia, che non tiene viva la memoria di quanto gli è accaduto!
Che cosa deve ricordare il popolo d’Israele di quel lungo e travagliato cammino verso la libertà, un cammino che ha attraversato un “deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua”? Deve ricordare che è uscito vivo da quel deserto minaccioso perché è stato condotto, guidato dal Signore, suo Dio, il quale gli ha fornito acqua in condizioni impossibili (“ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima) e procurato cibo (“ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri”), indispensabili per ogni cammino, tanto più per l’attraversata di un deserto.
Anche nelle parole rivolte da Gesù alla folla troviamo un invito: riconoscere che lui è il “pane vivo, disceso dal cielo”, un pane che offre la vita piena (“eterna”) e che “prenota” un futuro di vita risorta (“lo risusciterò nell’ultimo giorno”).
Quello che Gesù è e dona rappresenta un cibo, ancora più decisivo della manna, che, se consentì agli Israeliti di non soccombere nel deserto, non li ha però salvati dalla morte («Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono»).
Nelle parole di Gesù il riconoscimento che lui è il “pane vivo, disceso dal cielo” e che dà la “vita eterna” si esprime in un gesto molto concreto e significativo, mangiare. Per Gesù non basta sapere, riconoscere che Lui è “il pane che dà la vita eterna”, perché bisogna agire di conseguenza, bisogna “mangiare” questo pane.
Il Signore Gesù ci dona il suo corpo, non tanto perché lo contempliamo, lo adoriamo, ma perché lo “mangiamo” come pane per il nostro cammino dalla terra di schiavitù, come spesso risulta la nostra esistenza, alla terra della libertà piena e definitiva; come il cibo che, come abbiamo riconosciuto nella preghiera della Colletta, ci consente di “compiere il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi, convitati (di Dio) alla mensa del regno”.
Quel giorno a Cafarnao, quando Gesù parlò alla folla di sé come il “pane vivo, disceso dal cielo” e invitò quelle persone a mangiare di quel pane (“la sua carne (la sua vita donata) per la vita del mondo”) non trovò ascolto, anzi un’aspra reazione.
Chiediamoci quale reazione suscitano in noi quelle parole e quell’invito che Gesù rivolge a ciascuno di noi oggi, a noi che dopo un lungo digiuno di questo pane di vita, possiamo nuovamente “mangiarlo” e beneficiare dei frutti che porta con sé.
Lasciamoci interpellare tutti, le persone che abitualmente digiunano nei confronti di questo pane vivo, offerto da Gesù, ma anche quelle persone che abitualmente si nutrono di questo pane. Lasciamoci interpellare per guadagnare una volta per sempre la consapevolezza che il pane offerto da Gesù è il cibo di cui abbiamo bisogno per il nostro cammino, ma anche per non abituarci a questo pane, come ci capita con tanti beni che sostengono la nostra vita, il nostro cammino.