L’insistenza di Gesù sul “mangiare” il “pane vivo disceso dal cielo” (per ben 6 volte nello spazio di pochi versetti), identificato nella “carne del Figlio dell’uomo”, in lui stesso (“chi mangia me”) sorprende e fa pensare. Sorprende perché Gesù si consegna a un gesto normalissimo e anche rischioso, come è il nostro mangiare. Mangiare è il gesto che ci assicura la vita, ma è anche il gesto che può minacciare la nostra vita; per questo noi non mangiamo di tutto e non mangiamo (o non dovremmo mangiare) oltre misura. Quello del mangiare è un gesto abituale, a volte meccanico, che chiede però sapienza e decisione. Fa pensare l’insistenza di Gesù perché al mangiare il pane vivo disceso dal cielo è attribuita la capacità di creare un legame profondo con Lui (“rimanere con lui”. Per S. Agostino se noi riceviamo bene il corpo e il sangue di Gesù, non soltanto diventiamo cristiani, ma diventiamo Cristo stesso), di vivere grazie a Gesù e per Gesù (“vivrà per me”), di dare la vita eterna e assicurare la risurrezione nell’ultimo giorno. La Risurrezione è la nostra “terra promessa”, la terra della libertà piena e definitiva, verso la quale siamo incamminati. E il nostro cammino assomiglia molto a quello del popolo d’Israele nel deserto, un cammino che mette alla prova in tanti modi la nostra fiducia nel Signore e la nostra speranza, un cammino che chiede un pane robusto, che ci consente di non venir meno, sotto il carico della fatica.
In questo cammino dove il Signore non ci lascia soli, ma ci accompagna e ci fa capire che l’uomo non vive soltanto di quel pane che si procura con le propria mani, con la propria sapienza, ma anche e soprattutto di quello che Lui ci offre.
Gesù è “il pane vivo, disceso dal cielo”, il pane che Dio, “che nutre il suo popolo con amore di Padre”, ci offre per saziare la nostra fame, che ha tanti nomi, che è fame di senso, di speranza, di amore…, perché, come abbiamo pregato nella Colletta della Messa, “sostenuti da questo pane (“il sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo”), compiamo il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi, tuoi convitati alla mensa del regno”, cioè possiamo giungere alla nostra terra promessa.
Gesù è l’unico pane in grado, come scrive l’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto, di fare di molte persone “un corpo solo”, di creare cioè quei legami di amore, di fiducia, di solidarietà, di comunione, che pure essi rappresentano il pane buono e robusto di cui abbiamo bisogno nel cammino della vita.
Il “mangiare” a cui Gesù ci invita non è, quindi, un gesto meccanico, ma il gesto di chi crede, di chi, cioè, riconosce in Gesù, quel “pane”, che ci è donato per il cammino della vita, quel pane che a differenza di tanti altri pani, sazia la nostra fame, assicura la vita piena; è il gesto di chi si lascia edificare come uomo e donna di comunione, capace di dar vita a rapporti pieni di fiducia, di solidarietà e di ascolto.
Quello a cui ci invita Gesù, ci ricorda la preghiera con cui concluderemo la nostra celebrazione, è un “pregustare”, un gustare in anticipo, iniziale, la sua stessa vita, quella del Figlio amato e del primogenito fra molti fratelli, la vita che “godremo pienamente nel convito eterno”, che rappresenta la nostra terra promessa.