Domenica delle Palme (2 aprile 2023)

Abbiamo iniziato la celebrazione  dell’Eucaristia non in chiesa e compiendo un gesto significativo. Il luogo dove abbiamo avviato la celebrazione, l’ “Opera Pia”, sono ospitate e assistite oltre 200 persone anziane, la maggioranza delle quali non più autosufficienti, richiama la realtà della nostra esistenza, segnata dalla fragilità e bisognosa di cura. Da lì abbiamo raggiunto la chiesa dei Cancelli (che sostituisce momentaneamente la Cattedrale, inagibile dopo l’ultimo terremoto); un cammino breve, ma significativo, percorso con rami d’ulivo in mano, accogliendo l’invito del sacerdote celebrante a imitare le folle che acclamavano Gesù al suo ingresso in Gerusalemme, a fare nostra quella acclamazione (“Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”). Anche noi abbiamo riconosciuto Gesù come colui che è venuto nel nome del Signore, per ridarci vita, per sottrarre la nostra esistenza alla presa mortifera del male.

Prima di metterci ascolto della sua Parola il celebrante, al Dio onnipotente ed eterno, che “ha dato come modello agli uomini il Cristo suo figlio nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce”, ha chiesto per noi di “avere sempre presente il grande insegnamento della sua passione per partecipare alla gloria della sua risurrezione”.

Sarebbe riduttivo interpretare il “grande insegnamento” della morte di Gesù semplicemente come una “istruzione per la vita”, perché la morte di Gesù è molto di più che una istruzione, è l’offerta di una liberazione che restituisce vigore e speranza alla nostra esistenza, che esprime la cura propria dell’amore di Dio di cui necessita la nostra vita.

I tre testi della parola di Dio hanno confermato l’interpretazione della morte di Gesù come. Il profeta Isaia (Is 50,4-7) riferisce che la persone di cui parla ha ricevuto da Dio il mandato di “indirizzare una parola allo sfiduciato” e che lui si reso disponibile a questo mandato, non si è tirato indietro di fronte all’aggressione dei suoi persecutori, sapendo di poter contare su Dio (“il Signore mi assiste”).

L’apostolo Paolo (Fil 2,6-11) ha descritto il percorso di “svuotamento” di sé operato da Gesù: da Figlio di Dio, alla condizione di servo, fino alla morte di croce. Questo “diventare simile agli uomini” sfiduciati perché aggrediti dal male, incapaci di provvedere alla propria vita con i beni necessari (la pace, la giustizia, la fraternità…) ottiene a Gesù, da parte di Dio, il riconoscimento (“un nome al sopra ogni altro nome”) di una “regalità” attrattiva universale (“nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!” a gloria del Padre”.

Nel vangelo (Mt 26,14-27,66) abbiamo ripercorso con Gesù il suo cammino di servo obbediente fino alla morte di croce (la “svuotamento” estremo del Figlio di Dio), una morte che nelle parole del centurione romano e di “quelli che facevano la guardia a Gesù (“Davvero costui era figlio di Dio”) proclama che Gesù Cristo è il Signore.

Al termine della celebrazione dell’Eucaristia non torneremo alle nostre case, alla vita di sempre, a mani vuote, ma portando con noi un ramo di ulivo, pianta che nell’immaginario collettivo rimanda alla pace. Per i discepoli del Signore Gesù quella pace che desiderano per sé, per la propria vita e per l’umanità intera, è il dono del Crocifisso Risorto, fatto tanti anni fa ai discepoli, chiusi in casa dalle loro paure, un dono rinnovato in ogni celebrazione della Pasqua, a noi, che al pari di quei discepoli, siamo spesso prigionieri delle nostre paure.