«Fa che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione». E’ la richiesta che abbiamo rivolto al «Dio onnipotente ed eterno, che ha dato agli uomini come modello Gesù suo Figlio».
Sarebbe riduttivo pensare all’insegnamento offerto da Gesù con la sua passione semplicemente come una lezione di vita, perché Gesù con la sua passione, prima e più che una lezione di vita, ci dona la vita nuova, quella vita che è sottratta alla presa mortale del male, perché avvolta dall’amore del Dio onnipotente ed eterno che è il Padre.
Gesù non si sottrae alla morte che altri hanno deciso di infliggergli perché noi abbiamo la vita, quella che lui ha portato nel mondo su mandato del Padre («Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la via eterna», Gv 3,16). E’ questo proprio quello che Gesù vuol dire ai discepoli, poche ore prima di essere arrestato, come racconta l’evangelista Matteo (26,26-29), con il pane spezzato e sul quale Gesù “rende grazie”, fatto circolare fra i discepoli («questo è il mio corpo») e con il calice di vino offerto loro da bere («Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati»).
Sta proprio qui il paradosso sorprendente: da una morte decretata per difendere il buon nome di Dio, la sua unicità, come lo dirà, con il gesto plateale delle vesti stracciate, il sommo Sacerdote Caifa («Ha bestemmiato!»), provocando la risposta dei presenti al processo a Gesù («E’ reo di morte!»), nasce la vita, la vita nuova, liberata dal male che la aggredisce, dove riparte l’amicizia con Dio, una “nuova alleanza” tra gli uomini e Dio, grazie alla quale è possibile sperimentare un anticipo di quella vita piena, “risorta” che proprio la morte di Gesù ha reso possibile con la sua morte (nella Colletta della Messa: “partecipare alla gloria della risurrezione”).
Questo è il dono che Gesù anche quest’anno desidera confermarci, anche e soprattutto in questi giorni nei quali la morte sta invadendo la nostra esistenza, privandoci delle persone care e minando le nostre speranze di una vita serena.
L’ “insegnamento” che proviene dalla Pasqua di Gesù può essere inteso come un invito insistente, che solo chi ci vuole bene è in grado di fare, ad accogliere il dono di Gesù, a riscoprirne la prossimità per la nostra esistenza, ad abbandonare la presunzione di essere in grado di provvedere da soli alla nostra vita e a quella delle persone che ci sono care. Se accoglieremo il dono che ci proviene dalla Pasqua di Gesù avremo la possibilità di sperimentare fin da ora quella “gloria della risurrezione” che rappresenta la destinazione della nostra esistenza.
Un suggerimento: in questa settimana – la settimana santa – guardiamo spesso il Crocifisso, lasciando risuonare la parola di S. Paolo che riconosce con gratitudine che il Figlio di Dio «mi ha amato e a consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Se è possibile collochiamo il Crocifisso in un luogo ben visibile nella casa, davanti al quale sostare personalmente, ma anche insieme come famiglia. Voi genitori, davanti al Crocifisso, parlate ai vostri figli di questo Figlio di Dio, che si chiama Gesù e che ha dato la sua vita perché ci vuole tanto bene.