“Dov’è, o morte la tua vittoria?” quella di S. Paolo si presenta come una domanda provocatoria, una sfida lanciata alla morte. L’Apostolo sembra dire alla morte: mostrami dove sei vincente. Paolo può lanciare la sfida perché sa della vittoria che Gesù Cristo ha riportato sulla morte, lo sa con il sapere della fede, che dal tono deciso delle sue parole, appare un sapere “forte”, convincente, più forte e più convincente della realtà stessa della morte.
Quella di Paolo è però una domanda provocatoria anche per noi, nel senso che ci chiede se anche noi condividiamo quanto le parole della Scrittura ci assicurano, che cioè: «La morte è stata inghiottita nella vittoria». La richiesta non è fuori posto perché se guardiamo a quanto succede nella nostra vita, nella storia degli uomini, ci risulta che la morte è vincente su tutti i fronti. E’ vincente perché ci ruba la vita, non solo quando questa giunge al suo termine, ma anche quando è nel pieno delle sue possibilità, bella e ricca di promesse e di risorse; perché ci sottrae le persone care, chi ci hanno dato la vita (come il nostro babbo e la nostra mamma), chi un giorno ci ha assicurato che il suo amore per noi era forte e sincero, tanto da convincerlo ad accompagnarci per l’intera esistenza (come il proprio sposo, la propria sposa), chi ha rappresentato la ragione della nostra esistenza, delle nostra fatiche e speranze (come un figlio, una figlia), chi ci è stato vicino e sul quale abbiamo potuto contare sempre (come un amico, una amica). E’ vincente perché ci mette paura, a tal punto che preferiamo non parlarne e cerchiamo in ogni modo di nasconderla.
Se questa sera siamo qui a celebrare l’Eucaristia, in riva al mare, non è perché non abbiamo di meglio da fare, nemmeno per provare alcune emozioni, ma perché riteniamo, anche se a volte a fatica, che quanto la parola della fede ci comunica non è la proiezione del desiderio che la nostra vita non sia colpita dalla morte, ma la risposta a questo desiderio, la risposta data da Gesù, con la sua stessa morte, una morte che ha vissuto come gesto di un amore forte, più forte della stessa morte, tanto che questa non ha potuto trattenerlo nelle proprie mani, perché Lui è risorto.
E questa vittoria Gesù non la gode da solo, ma la estende a tutte le persone che si fidano, come ha fatto Lui, di Dio, che ascoltano la sua parola e che per questo considera “fortunate” («Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano»). La prima di queste persone “fortunate” è Maria, una di noi, una sposa come tante nostre spose, una mamma come tante nostre mamme. La morte non ha potuto trattenere nelle sue mani Maria, perché ha creduto, si è fidata di Dio, della sua parola che offre la vita a chi la accoglie. Noi sappiamo che la parola di vita che Dio ci offre è Gesù, suo Figlio. Maria proprio perché si è fidata di Dio, ha potuto accogliere la Sua Parola, fino a darle carne, a generarla nel mondo.
Maria con la sua fede che l’ha condotta a beneficiare in modo singolare della vittoria di Gesù (questo è il senso della solennità di Maria Assunta in cielo subito dopo la morte), ci dice che la morte non è invincibile, che la nostra esistenza può essere sottratta alla paura della morte, che questa, anche quando irrompe nella nostra vita, non può rubarci la speranza. Maria ci invita anche a vivere in questo mondo da uomini e donne di fede, “costantemente rivolti ai beni eterni”, cioè a quel Dio Padre di Gesù, il quale quando ha pensato a noi, ancora prima della fondazione del mondo, ci ha pensati come figli suoi, destinatari del suo amore, l’eredità da sempre preparata per noi.