La tristezza del popolo d’Israele di cui ci parla la prima Lettura (Neemia 8,1-12) e la paura dei discepoli, cui fa riferimento Gesù nel Vangelo (Lc 12,32-34) esprimono bene la nostra tristezza e le nostre paure di questi giorni, i giorni della pandemia provocata dal corona virus.
I due testi, oltre che parlarci della desolazione di un popolo e del timore di un piccolo gruppo di discepoli, indicano anche come non restare prigionieri di questi stati del nostro animo, peraltro umanissimi.
L’assemblea degli abitanti di Gerusalemme, in ascolto del libro della Legge si svolge in un momento delicato, decisivo, per il popolo, il quale, dopo aver ottenuto la libertà ed essere rientrato nel paese che Dio aveva promesso ai padri, aveva iniziato la ricostruzione della città, ostacolata però da più parti, non solo dai nemici (cfr Neemia 3,33-4,17), ma anche all’interno della stessa comunità (cfr Neeemia 5,1-19). Tanto che l’iniziale entusiasmo aveva lasciato posto alla delusione e allo scoraggiamento.
Conclusi finalmente i lavori, il popolo si raduna attorno al libro della legge di Mosè, che viene letto a lungo. Il testo appena proclamato parla di questa lettura prolungata del libro della Legge e di ciò che tale lettura produce sul popolo d’Israele: la gioia che esplode in una festa, dove è lasciata da parte ogni tristezza (8,12); l’ invito alla solidarietà e condivisione verso chi è povero (8,12).
La gioia e la festa cui si abbandona il popolo hanno una spiegazione: «perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate» (8,12). Le parole proclamate da Neemia e dai leviti sollecitano ad abbandonare ogni tristezza e a fare festa con la motivazione che « questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate perché la gioia del Signore è la vostra forza» (8,9-10). La festa gioiosa è data quindi dalla possibilità di poter contare sul Signore, di avere il Signore con sé. Quella che il popolo d’Israele vive è una gioia e una festa solidale, a cui tutti possono partecipare, anche i più poveri, “quelli che nulla hanno di preparato”.
Gesù, nel vangelo, invita i discepoli a non arrendersi alla paura provocata dalle tante preoccupazioni della vita (Lc 12,22), perché Dio Padre non li abbandona, non li lascia soli; li sollecita poi a una generosa solidarietà («Quello che avete vendetelo e datelo in elemosina»).
Anche l’apostolo Paolo nella Lettera ai cristiani di Corinto (2Cor 8,9-15) li invita a essere generosi nel sostenere la colletta che aveva promosso a favore della comunità di Gerusalemme, in difficoltà economiche (“la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza”).
Il Signore si rivolge a noi con la sua parola, a noi che saremo impegnati, come gli abitanti di Gerusalemme, in una ripresa, che assomiglia molto a una ricostruzione della vita su più fronti.
Il Signore, anzitutto ci dice, che non ci lascerà soli in questa impresa, perché la paura di un fallimento non prevalga nel nostro cuore e blocchi la nostra azione; ci sollecita poi a prenderci cura gli uni degli altri, soprattutto di chi in questa ricostruzione della vita si troverà in maggiore difficoltà.
Il Signore a questa chiesa di Senigallia, che si riconosce nelle parole del Concilio Vaticano II («Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et spes, 1), oggi parla anche con S. Paolino, da noi venerato come patrono e riconosciuto come maestro.
Paolino ha vissuto un’esistenza intensa, è stato un consacrato (monaco e vescovo di Nola), è stato sposo e genitore, anche se per pochissimo tempo, perché il figlio Celso, a lungo desiderato, è morto dopo solo 8 giorni dalla nascita; ha esercitato pure un’autorità in campo politico e amministrativo (prefetto di Roma, senatore, console e governatore della Campania).
Quella di S. Paolino non è stata un’esistenza mediocre, superficiale, prigioniera del proprio dolore, ripiegata su se stessa, nella esclusiva ricerca del proprio interesse e guidata solo dal desiderio di un’affermazione di sé a ogni costo, ma un’esistenza dove ritroviamo pienamente accolti l’invito di Paolo ai cristiani di Corinto (condividere le proprie risorse con chi è povero, in difficoltà, superando la paura che consiglia di tenere tutto per sé, di difendersi) e l’esortazione di Gesù ai discepoli nel Vangelo appena proclamato (non sbagliare bersaglio nell’individuare il tesoro prezioso, decisivo per la propria esistenza, quel tesoro che resiste all’usura del tempo [la tignola che consuma] e alla rapina dei ladri [gli uomini malvagi e le avverse circostanze della vita]).
S. Paolino con la sua testimonianza di pastore generoso, di servitore del bene comune e di persona solidale con i poveri diventa nostro maestro, perché sollecita tutti, persone consacrate, sposi e spose, padri e madri, lavoratori, amministratori della cosa pubblica, a realizzare nelle condizioni e nei luoghi concreti della vita un’esistenza di alto profilo, utile non solo a noi, ma anche agli altri, un’esistenza solidale, impegnata nella promozione non solo del proprio bene, ma anche di quello degli altri (del bene comune), soprattutto delle persone in difficoltà.
Per questo chiedo ai credenti di questa chiesa di Senigallia, ma anche alle persone di buona volontà del nostro territorio, di sostenere generosamente quel “Fondo di solidarietà”, che, nato in una situazione di grande emergenza, come la crisi economica scoppiata nel 2008, in questi anni ha continuato a soccorrere le diverse povertà sul nostro territorio, grazie all’impegno generoso e intelligente della Caritas diocesana e delle Caritas parrocchiali. L’obiettivo del Fondo sarà quello di “ridare sostegno” alle realtà e alle persone maggiormente colpite da questa nuova emergenza.
Ci attendono giorni molto impegnativi; non viviamoli nella paura e nella tristezza che frenano lo slancio del cuore e confondono la ricerca delle soluzioni più adeguate alle tante emergenze che dobbiamo affrontare; non sprechiamo tempo ed energie in sterili e pretestuose polemiche, che minano la fiducia reciproca e avvelenano le collaborazioni; resistiamo alla tentazione di occuparci esclusivamente di noi stessi, delle persone che sentiamo più vicine, per i legami di affetto, per la condivisione di una fede o di progetti politici; non agiamo per la promozione della nostra persona, per il riconoscimento dei nostri ruoli.
E tu, S. Paolino, credente sincero ed esperto in umanità, accompagna il cammino di questo popolo che ti invoca come protettore e ti riconosce come maestro. Così sia