Di fronte alla famiglia di Nazareth, quella che noi definiamo “santa”, proviamo una sorta di disagio, provocato a un tempo dall’ammirazione che suscita in noi il suo alto profilo, per le persone che la compongono e dall’amara constatazione che non è alla nostra portata, che quell’alto profilo non è riproducibile nelle nostre case, proprio per le persone che vi abitano. Il disagio sembra alimentato dall’opinione abbastanza diffusa tra i credenti che alla famiglia di Nazareth, tutto sommato, non risultava difficile essere quello che era, proprio perché composta da persone, Giuseppe, Maria, Gesù, delle quali le Scritture sante dicono un gran bene. In realtà non è così, perché, anche le persone della famiglia di Nazareth, hanno conosciuto le “fatiche” della vita familiare.
Ancora prima che fosse costituita la famiglia, Giuseppe e Maria si sono trovati di fronte a una situazione che ha suscitato nel loro cuore turbamento, stupore e alla quale hanno accettato di aderire dando credito parola di Dio. In questo modo Giuseppe «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1,24) e Maria dichiarò la sua disponibilità alla parola dell’angelo: «accada di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Gesù poi ha dovuto “imparare l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8).
Il padre e la madre di Gesù “restano stupiti delle cose che si dicevano di lui” (Lc 2,33). A Maria l’anziano Simeone rivela che suo figlio sarebbe stato un segno di contraddizione per molti in Israele e che lei avrebbe sofferto a motivo suo (“anche a te una spada trafiggerà l’anima”, cfr Lc 2,34-35)
L’evangelista Luca ci informa che i genitori di Gesù “non compresero ciò che aveva detto loro” il figlio dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, dove era stato ritrovato dopo tre giorni di angosciosa ricerca (Lc 2,49).
Il brano del vangelo mostra questa famiglia in un momento drammatico: si tratta di portare in salvo il piccolo Gesù, cercato da Erode che lo vuole eliminare. Giuseppe si lascia guidare dall’angelo che lo informa del pericolo, gli indica il paese dove rifugiarsi, lo sollecita a ritornare in Israele e a dimorare a Nazareth. Anche in questa situazione è la parola di Dio che guida la vita della famiglia di Gesù, una parola accolta con fiducia e obbedienza.
Prestare ascolto alla Parola è l’invito che sta al cuore della serie di esortazioni che Paolo rivolge alle famiglie della comunità di Colossi: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza». Il senso dell’invito: la parola di Gesù sia una presenza stabile, un riferimento abituale nel vissuto di una famiglia, per tutte le persone che la compongono (sposi, genitori e figli), a essa faccia riferimento costante tutta la famiglia. Appena prima l’Apostolo aveva rivolto l’invito alla pratica della carità che si spinge fino all’offerta del perdono.
La famiglia di Nazareth dice che è possibile non soccombere di fronte alle tante fatiche e prove che segnano la vita famigliare, a patto che anche noi come Gesù, Giuseppe e Maria, prestiamo un costante ascolto alla Parola di Dio, cioè diamo credito, nell’organizzare la vita delle nostre famiglie, alla sua volontà buona riguardo ai suoi figli. E la volontà, il desiderio di Dio Padre riguardo ad ogni famiglia è che cammini sotto il segno di quella benedizione («Dio creò l’uomo a sua immagine…, maschio e femmina li creò. Dio li benedisse…», Gen 2, 27-28), che fin dall’inizio ha espresso la sua stima, il suo apprezzamento per questo tipo di relazione tra un uomo e una donna, capace, a un tempo, di strappare i due da una mortale solitudine, di generare altre persone e d’insegnare loro che la vita sta sotto il segno della benedizione che viene da Dio. Una benedizione quella di Dio che rappresenta l’inesauribile risorsa cui fare riferimento quando le nostre fragilità, le tante prove della vita, la stanchezza e l’abitudine mettono alla prova le nostre famiglie, perché non ci rassegniamo a pensare che famiglie come quella di Nazareth sono belle, ma impossibili da costruire.