Festa della medaglia miracolosa (Seminario Vescovile di Senigallia, 30 novembre 2017)

La scelta, tra i vari formulari per le Messe della Vergine Maria, di quello che fa riferimento alla gioia (“Maria Vergine, causa della nostra gioia”), nel ricordo della Madonna della medaglia miracolosa, ha una sua ragione, che parte dalla Lettera apostolica di Papa Francesco – Evangelii Gaudium – e giunge fino al cammino della nostra chiesa Diocesana per i prossimi due anni, tracciato nella mia Lettera pastorale, il cui titolo fa riferimento al desiderio di Gesù che la gioia dei suoi amici sia una gioia compiuta (“piena”).

Quella della gioia non è un’esperienza facile, scontata, perché dipende da tante variabili (che idea abbiamo della gioia, le condizioni di vita personali, le situazioni della vita, gli atteggiamenti delle persone…). Le tante variabili ci suggeriscono di non essere troppo ingenui riguardo alla possibilità di sperimentare una gioia compiuta e duratura, fino a spingerci verso la conclusione, venata di pessimismo, che è da saggi non alzare troppo l’asticella del desiderio di essere felici nella vita che conduciamo e che, alla fine, è importante limitare i danni.

I testi proposti dalla liturgia sono di altro parere. Le orazioni parlano in sequenza di “vera gioia”: la Colletta: «O Dio… concedi a noi di tenere fissi i nostri cuori dove è la vera gioia»; la orazioni sulle offerte: «o Padre… donaci di gustare il frutto di una perenne letizia»; nell’orazione dopo la comunione chiediamo al Padre “sperimentare nella gioia senza fine la potenza della risurrezione”, del Figlio di Maria. In tutte e tre le orazioni la possibilità di sperimentare una gioia, non fragile, ma “piena” e “senza fine”, è riferita a Maria: nella Colletta, addirittura Maria è considerata “causa della nostra letizia”, nell’orazione sulle offerte Maria è la Madre di Cristo Salvatore, nel quale il Padre “ci ha dato ogni bene”; e nell’orazione dopo la comunione Maria è la Madre di Colui che è vero Dio e vero uomo, la cui risurrezione ci consente di “sperimentare una gioia senza fine”.

Il testo del cosiddetto salmo responsoriale è il canto di gioia di Maria, scorrendo il quale scopriamo qual è l’origine della sua gioia. Maria è contenta perché si sente guardata nella sua situazione di vita, che è quella di una ragazza dei “quartieri alti”, né promessa sposa a un “rampollo di una casa nobile” o a un uomo facoltoso, ma a un falegname. Lo sguardo di Dio che Maria sente su di sé è uno sguardo di benevolenza, di chi si prende cura di lei, è stato generoso con lei (“grandi cose ha fatto in me”), è uno sguardo liberatore (Maria chiama Dio, “mio salvatore”).

Maria poi è contenta perché vede Dio all’opera nella storia del suo popolo (“ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia”) e nella storia travagliata dell’umanità, dove prende le difese degli ultimi (gli affamati, quelli che non contano nello scenario mondiale).

Nel vangelo le parole di rallegramento della cugina Elisabetta riferite a Maria («Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore») chiariscono perché Maria è una donna contenta: perché ha dato credito alle parole del Signore, quelle parole, riferite dall’angelo Gabriele e che inizialmente avevano provocato in lei turbamento, suscitato interrogativi; parole che continuerà a custodire nel cuore e dalle quali si lascerà guidare nelle complesse vicende della sua vita di madre del Figlio di Dio (come ci ricorda Luca nel suo vangelo: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore», 2, 19.51).

Guardando a Maria, alle radici della sua gioia, è possibile alimentare il desiderio e operare per “una gioia piena”. Maria è “causa della nostra gioia”, perché ci sollecita a percorrere la stessa strada percorsa da lei, quella consegna di sé a Dio, Padre di Gesù e nostro, che si esprime nel credito dato ogni giorno e in ogni circostanza della vita, alle sue parole, trattenute e custodite, come ha fatto lei, nel nostro cuore, per scoprire anche noi che, nella nostra povertà, siamo guardati da Dio con uno sguardo di benevolenza e per scoprire che Dio è all’opera anche nel nostro ministero, che spesso ci appare privo di  frutti e …………………………………………….nella storia di questa umanità così travagliata.