Funerale di Daniele Pongetti – 14 dicembre 2018

In questi giorni sono state dette tante parole, abbiamo ascoltato e detto le parole di un dolore forte, insostenibile, le parole della denuncia severa, le parole dello smarrimento e della recriminazione. Abbiamo tentato di dire anche parole di consolazione. Molte di queste parole hanno avuto un’ampia risonanza, quella che viene garantita dai mezzi della comunicazione sociale, dai dibattiti televisivi, dai messaggi dei nostri cellulari.

Oggi siamo qui, in un luogo appartato, non ci sono telecamere che scrutano i nostri volti che tradiscono dolore, sconcerto e forse ancora un po’ di risentimento; i nostri cellulari non comunicano tra di loro. Abbiamo ascoltato in silenzio una parola, amplificata solo da un microfono. Abbiamo ascoltato la parola della fede. La fede non ha parole proprie, la fede dà credito alle parole di un Altro, alle parole che Dio e che Gesù ci rivolgono. E proprio Gesù ci ha rivolto un invito: “Non sia turbato il vostro cuore” (cfr Gv 14,1-6). Questo invito Gesù lo ha rivolto ai suoi discepoli in una sera drammatica, quando ormai era chiaro che i discepoli avrebbero perso il loro Maestro, che qualche ora dopo sarebbe stato arrestato e ucciso. Di quel Maestro si erano fidati, perché quanto aveva detto, ma soprattutto quanto aveva fatto; avevano scoperto che Gesù non era un venditore di sogni, né un abile seduttore, ma uno a cui si poteva chiedere cosa fare per costruire una vita bella, buona e felice. Per questo lo avevano seguito, anche se non sempre lo avevano capito. Per questo la sua partenza li turbava profondamente.

Ai suoi amici Gesù rivolge un altro invito: “abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Gesù dice questo non perché fa parte del suo mestiere, ma perché lui per primo, proprio perché si era fidato di Dio, non era rimasto travolto dal turbamento, dall’angoscia, quel turbamento e angoscia che lo avevano colpito per la morte di un caro amico, Lazzaro, tanto che di fronte alla sua tomba era scoppiato a piangere (cfr Gv 11,35), lo avevano colpito anche poco prima, quando Gesù era rimasto “profondamente turbato” nel rivelare ai discepoli che uno di loro lo avrebbe tradito (cfr Gv 13,21). Gesù chiede ai discepoli di fidarsi anche di lui, che se ne va, non per abbandonarli, ma per preparare loro un posto nella casa del Padre, perché anche loro possano provare quello che lui ha provato stando con Dio Padre, fidandosi di Lui.

Oggi l’invito a fidarci di Dio Padre e di lui, Gesù lo rivolge a noi, profondamente turbati per la morte di Daniele e delle altre persone che come Daniele hanno perso la vita. Questo invito lo rivolge anzitutto al babbo, alla mamma, alla sorella e alle persone care a Daniele, per dire loro che lui non lascerà Daniele nelle mani della morte, che desidera averlo con sé, perché anche Daniele sperimenti, come continua a sperimentarlo lui, quell’amore del Padre che “asciuga le lacrime” dagli occhi, che impedisce alla morte di tenere prigionieri per sempre i suoi amici.

Lo rivolge a noi qui presenti, in modo particolare a voi, amici di Daniele, perché il dolore che in questi giorni ha riempito i vostri occhi di lacrime e continua a turbare il vostro cuore, non abbia il sopravvento sul vostro desiderio di una vita all’altezza delle vostre attese, ma anche perché sappiate riconoscere con chiarezza a chi affidare il compimento del vostro desiderio di vita.

Signore Gesù, ti affidiamo Daniele. Tienilo con Te, là dove le lacrime non riempiono più gli occhi e impediscono di vedere il volto di Dio, là dove il cuore non viene più invaso dalla paura, là dove la vita non è più minacciata. Ti chiediamo di continuare con noi il cammino della vita, di non smettere di invitarci a non temere quando la vita tornerà a metterci paura, a turbare il nostro cuore; ad avere soltanto fiducia in Te. Aiutaci ad accogliere sempre questo tuo invito, fino a quando anche noi giungeremo a quella casa, dove siamo attesi dal Padre, da Te, da Daniele e dai nostri cari; dove Tu riconsegnerai Daniele a tutti noi. Cosi sia