Funerale di don Aldemiro Giuliani (3 novembre 2020)

L’apostolo Paolo e Gesù ci hanno disegnato i tratti della nostra identità: per l’Apostolo noi siamo cittadini di un altro mondo – “i cieli” – (Fil 3,20-21: «La nostra cittadinanza è nei cieli») e per Gesù noi non siamo padroni, ma servi (Lc 12,35-40: «siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze… beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli»).

Noi siamo “cittadini dei cieli” che attendono il Signore Gesù, lo attendono come “Salvatore”, perché darà al “nostro misero corpo” (la morte è la tragica conferma della nostra fragilità) una nuova configurazione, precisamente come è il suo corpo risorto («lo trasfigurerà per conformarlo al suo corpo glorioso»).

Noi siamo servi, amministratori del Signore; lavoriamo per lui, avendo a cuore che quanto compiamo corrisponda a quello che lui desidera, alla sua volontà. Siamo servi di un Signore che quando tornerà dal viaggio non ci dirà: «Sono stanco, servimi ancora», ma ci prenderà con sé e ci dirà: «Tu hai servito, adesso tocca a me; siediti a mensa». Si cingerà i fianchi e passerà a servirci.

Don Aldemiro ha atteso il Signore, sapendo dove si trovava la propria casa. Lo scrive lui stesso nel testamento spirituale: «Non so quando, ma partirò presto da questo mondo. Tutti abbiamo qui una dimora provvisoria. Partirò per tornare alla casa del Padre. Il cammino è giunto al traguardo. E il traguardo è la pienezza di vita che è Dio… che mi aspetta con il suo amore misericordioso».

Don Aldemiro ha servito il Signore; lo ha fatto prestando ascolto, accompagnando le persone nelle loro sofferenze, per la malattia e per le tante prove della vita e tanti nel commiato da questa vita. Il suo è stato un ministero, un servizio della consolazione, quella che Dio Padre desidera offrire ai suoi figli e della quale chiede a noi pastori di essere trasparenti testimoni. Come scrive l’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto: «Il Dio di ogni consolazione ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio», 2Cor 1,4).

A questo ministero don Aldemiro si è dedicato con tenacia e tale passione che nel suo testamento ci lascia come ricordo di sé l’insistente invito: «Amate la gente che soffre, mettetela al primo posto. Abbiate amore, coraggio e costanza».

Ora per don Aldemiro si compiono le parole di Gesù: Lui, il “padrone” è tornato e ha trovato il suo “servo”, sveglio, fedele amministratore dei suoi beni. Immaginiamo che inviterà don Aldemiro a “ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo” per coloro che lo hanno riconosciuto nelle persone sofferenti (cfr Mt 25,31-41) e anche a don Aldemiro dirà: «Adesso tocca a me»; lo inviterà a sedersi e a lasciarsi servire da lui. E pensiamo anche che questa volta e a questo invito don Aldemiro non opporrà resistenza.

Don Aldemiro, ora che godi in pienezza della consolazione di Dio Padre, dal quale ti sei sentito tanto amato, continua a consolare le numerose persone che hai accompagnato nelle loro sofferenze; aiuta la nostra chiesa di Senigallia e, soprattutto, noi pastori a essere fedeli servitori della consolazione di Dio Padre. Così sia