Funerale don Filippo Discepoli (8 giugno 2020)

Il volto di una persona racconta la persona stessa a chi la incontra, dice che cosa la persona porta in cuore, come sta vivendo.

Osservando il volto di don Filippo, il volto di un prete costretto negli ultimi anni della sua vita a una comunicazione limitata per l’immobilità e la difficoltà nell’udito, ho sempre intravisto i tratti di una persona serena, in pace. Quello di don Filippo era un volto che si illuminava quando percepiva un saluto, un’attenzione verso di lui.

La serenità rivelata dal volto di don Filippo l’ho ritrovata nel suo testamento spirituale. Un testamento che si apre con parole di una gratitudine ampia e inclusiva: un grazie che, partendo dal Signore include familiari, confratelli sacerdoti, amici, ex parrocchiani di Arcevia (ai quali confida che “per il bene delle loro anime avrebbe desiderato fare di più, specialmente per i giovani, per i quali ha tanto pregato e si è sacrificato”), fino a “tutti quelli che lo hanno conosciuto e gli hanno fatto del bene”; e si chiude con l’augurio rivolto a tutti di “rivederci in Paradiso, nella casa del Padre”.

Da dove ha attinto don Filippo questa serenità dell’animo, rivelata dal suo volto? A suggerire la domanda è la convinzione che, se nella vita non è possibile recitare la parte della persona serena, del prete felice, far finta di esserlo, tanto meno è possibile quando gli anni sono tanti e le condizioni di salute pesanti da sostenere, anche per un prete, che tante volte nel proprio ministero si è trovato a consolare e incoraggiare tante persone afflitte.

La risposta all’interrogativo la troviamo nei testi della parola di Dio appena proclamata. A darci la risposta è anzitutto la serenità dell’apostolo Paolo, il quale, in carcere e consapevole che “è giunto il momento di lasciare questa vita”, scrive al discepolo Timoteo che non ha sprecato tempo ed energie in progetti di scarso valore (“ho combattuto la buona battaglia”), che nel corso del suo servizio al Vangelo di Gesù (un servizio che ha incontrato ostacoli di ogni genere), non è venuta meno la sua fiducia in Colui che lo aveva scelto e amato (“ho conservato la fede”) e che può affrontare la prova più impegnativa della sua esistenza di credente ed evangelizzatore (“sto già per essere versato in offerta”) senza timore, perché anche lui “ha atteso con amore la manifestazione del Signore” e sa che anche a lui il Signore consegnerà “la corona di giustizia” (la ricompensa prevista per il servo fedele).

Anche le parole di Gesù nel vangelo ci offrono la chiave per comprendere la serenità del volto di  don Filippo. Don Filippo appartiene al gruppo di quei “piccoli”, dei quali parla Gesù e che hanno consentito al Padre di manifestare il suo amore per il mondo, quell’amore che salva la vita delle persone e di cui Gesù stava parlando con la sua vita.

Anche don Filippo ha accolto l’invito rivolto da Gesù alle persone “stanche e oppresse” e ha trovato quel ristoro pacificante, che non è venuto a mancare nemmeno quando la vita lo ha “oppresso” con il peso dell’età e della disabilità. E don Filippo, penso, abbia imparato da Gesù, dalla lunga amicizia coltivata con Lui, anche quella mitezza che noi tutti abbiamo riconosciuto e apprezzato in lui, una mitezza che va ben oltre l’aspetto del carattere di una persona.

Don Filippo, la chiesa di Senigallia ti ringrazia per il tuo lungo e generoso ministero, ti ringrazia perché ci hai mostrato che è possibile vivere la gioia del vangelo anche quando la vita mette alla prova. Ora che sei con il Signore Risorto, rimani vicino alle persone che hai amato, soprattutto a quelle che soffrono e che faticano ad abitare la vita con serenità. Accompagna la nostra Chiesa diocesana perché anche in questi tempi di sofferenza per molti e di timore per tutti, sappia mostrare che, come ha scritto papa Francesco, «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (EG 1).